Che a luccicare sulla cupola di san Pietro siano centinaia di migliaia di trame d’oro lo vedono anche gli occhi più profani, ma sono davvero pochi ad accorgersi che sono mosaici anche tutti gli altri dipinti che ornano la Basilica di san Pietro. Come la bellissima Trasfigurazione, ultima opera di Raffaello: l’originale è conservato nella Pinacoteca Vaticana, mentre nella navata sinistra della basilica si può ammirare una perfetta copia intessuta di microscopici tasselli. La stessa sorte è toccata, a partire dal 700 a tutte le altre pale d’altare, a rischio di deterioramento per l’alto tasso d’umidità della Basilica.  Un’operazione riuscita grazie all’ingegno del fornaciaro Alessio Mattioli, che si inventò  la cosiddetta “scorzetta” un tipo di smalto opaco che eliminava i riflessi degli smalti – molto più lucidi della pittura –  ottenendo una gamma di gradazioni di tinte che riproducevano la tavolozza del pittore.



Da allora la Basilica di san Pietro vanta anche il primato di conservare il mosaico più esteso del mondo: 10.000 metri quadrati  di tessere, la cui cura è affidata alla piccola equipe dello Studio del Mosaico, luogo intrigante e dalle tante sorprese, sotto la direzione della Fabbrica di san Pietro. Incassato tra due archi, a due passi dalla Sala Nervi, nell’atelier del Papa lavorano tredici artisti, che, in rigoroso camice bianco, hanno due compiti principali: produrre preziose opere d’arte musiva e custodire e restaurare i mosaici della Basilica. E per capire cosa significhi, bisogna scendere le scale nell’archivio dei campioni: un grande labirinto dove si conservano le 26.000 tonalità di colore usate nei secoli dai maestri mosaicisti al lavoro nella Fabbrica di san Pietro. Nel magazzino dei colori, ci sono anche gli smalti più moderni, miscelati e modellati nella fornace dello Studio, secondo la tecnica del mosaico filato:  sfruttando la loro caratteristica di diventare fluidi a temperature elevate, questa tecnica permette di ottenere un’infinita gamma di colori; il procedimento è complesso, perché – a differenza dei colori ad olio – la tonalità finale è visibile solo quando lo smalto è completamente raffreddato.



 La tecnica del mosaico filato fu inventata in Vaticano alla fine del ‘700 per realizzare mosaici di piccole dimensioni e decorazioni di oggetti, come  scatole, tavoli e gioielli. Laici, religiosi e regnanti ne furono talmente affascinati da decretarne un tale successo, che, nel 1795, la Fabbrica di san Pietro decise di ufficializzare la produzione del mosaico in piccolo accanto a quello “in grande” e ne divenne la caposcuola in tutta l’Europa. Oggi dalle loro preziose tavolozze, i maestri mosaicisti dello Studio vaticano creano 30 opere all’anno, ispirate ai capolavori dell’arte sacra e profana, antica e moderna, da Vincent Van Gogh a Jan Vermeer.



E’ chiaro che il principale committente è il Papa: molti dei doni che il pontefice fa ai Capi di Stato e ai sovrani stranieri sono mosaici realizzati nel suo “atelier”. Nella sua prima visita al Quirinale, Benedetto XVI ha regalato al Presidente Ciampi la riproduzione della Salus populi romani –  l’immagine della Madonna venerata nella Basilica di santa Maria Maggiore –  , mentre il presidente Obama è ripartito per Washington con una preziosa riproduzione del Colosseo.

Nello Studio del Mosaico, si accettano ordini anche da altri committenti: e sono i collezionisti americani i clienti più facoltosi e affezionati.

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