La mia generazione è figlia della Seconda guerra mondiale. Sono nato, infatti, sei anni dopo l’ingresso degli americani a Roma e i miei genitori, che nel ’44 vivevano in città le giornate della liberazione dell’Italia dai tedeschi, con l’ingresso degli “alleati”, si sarebbero fidanzati di lì a poco e sposati quattro anni dopo.
Nella mia infanzia mi hanno sempre parlato di questo evento – che aveva segnato la mia famiglia e tutti i romani -, ma anche dell’ospitalità che l’intera città aveva dato a quei soldati americani, aprendo le porte delle case, fornendogli coperte e in cambio ricevendo sorrisi, caramelle, biscotti e viveri in barattoli.
Mi hanno parlato anche di quel senso di “Liberazione” dei cittadini, che avevano letteralmente “fatto la fame” a causa della grande povertà dei tempi di guerra, soprattutto degli ultimi mesi dopo il ’43: cento grammi di pane al giorno, razionato il gas, due ore di luce elettrica dopo il tramonto. Da quei giorni i miei genitori avrebbero detto sempre che il pane non si butta mai.
Gli americani entrarono in città il 4 giugno del ’44, ma in realtà, come è stato anche rievocato dalla sfilata di oltre 50 mezzi militari dell’epoca ai Fori Imperiali, in occasione dei 67 anni da quel giorno, diciamo “americani”, ma entrarono ai “Green Devils” della quinta armata americana, anche canadesi, polacchi, indiani, scozzesi, neozelandesi.
Gli alleati, erano già sbarcati ad Anzio molti mesi prima e tutti aspettavano da un momento all’altro l’avanzata verso Roma. Tuttavia le strategie delle truppe da sbarco, anche a causa delle ingenti perdite che avevano subito dalla resistenza dei tedeschi, soprattutto asserragliati ai Castelli Romani, allungarono i tempi di arrivo in città.
Fino a pochi anni fa ancora si potevano notare i resti dei bunker realizzati sul litorale laziale e nelle colline vicino Roma, per la difesa dei tedeschi dalle truppe da sbarco e dall’avanzata delle fanterie. Le lapidi dei cimiteri inglesi e americani nei pressi di Anzio e Nettuno fanno capire i soldati morti in questa avanzata verso Roma.
Certo non va dimenticato che gli americani avevano nei mesi precedenti bombardato Roma oltre cinquanta volte, colpendo molti quartieri, in particolare quello di san Lorenzo, con lo scopo di annientare la Stazione merci dello Scalo, che fu distrutta, con morti e feriti tra la popolazione civile il 19 luglio del 43.
Dal Tiburtino al Casilino, dal Prenestino al Labicano e Tuscolano le 4.000 bombe sganciate sulla città, provocarono circa 3.000 morti di cui 1.500 proprio a San Lorenzo. E le bombe dei B52 non erano intelligenti, neppure in parte, come quelle di oggi. Sicché le bombe cadevano anche lontano dai bersagli militari, come avvenne a Via Messina, vicino la via Nomentana, dove fu sventrato un intero palazzo: rimasero sole le mura esterne e quel palazzo era a 50 metri da dove abitavano mia madre e i miei nonni.
Ma fra tanti eventi drammatici capitava anche altro. Gli anziani ricordano che gli allarmi aerei dei bombardamenti americani facevano scappare le persone nei rifugi antiaerei, con ore e ore passati al buio e all’umidità degli scantinati, ma pochi sanno che in quelle occasioni, molti condomini decisero di mettere le immagini del Sacro Cuore di Gesù o della Madonna per pregare per la pace e per la protezione delle proprie case: immagini che sono rimase in tanti palazzi fino ad oggi, anche se non ci si fa più caso. Al buio in attesa delle bombe o del cessato allarme si pregava.
Né si può dimenticare che Roma fu protetta dalle preghiere e da bombardamenti più disastrosi, con l’affidamento alla Madonna del Divino Amore di Papa Pio XII: così si deve a quei tempi di guerra se oggi in tanti angoli o muri della città si vede l’immagine della Madonna del Divino Amore. E se si raggiunge il Santuario all’Ardeatina, sotto l’arco di ingresso alla vecchia cappellina, si vedono le foto in ricordo di quei giorni e della grande moltitudine dei fedeli presenti in segno di ringraziamento.
Pochi ricordano in queste rievocazioni che lunedì 5 giugno, il giorno dopo l’arrivo degli alleati, i romani si riversarono in 100.000 a piazza San Pietro per pregare con il Papa.
La protezione alla Madonna della città di Roma dalla distruzione della guerra, era stata chiesta anche dagli amici romani del Santo Luigi Orione, morto 4 anni prima. Successivamente, questo gruppo di fedeli, negli anni Cinquanta per ringraziamento, realizzò a Monte Mario un istituto per orfani e mutilatini di guerra e una grande statua dorata della Madonna che ancora oggi troneggia sullo Stadio Olimpico.
Quindi quando si parla di alleati a Roma, si parla di liberazione dalla guerra, ma anche di preghiere e di devozione.
La ricostruzione di questi giorni non è solo folklore ma è una pagina che è importante ricordare per la nostra storia, né per fatti solo militari, né politici, ma anche umanitari e di comunione e solidarietà tra la gente.
Gli alleati sono stati anche sinonimo di fondi per la ricostruzione dell’Italia che iniziò con il famoso Piano Marshall e, quella ricostruzione per Roma, dette il via a una nuova architettura della città, a partire dal Foro Mussolini, che fu difeso dagli alleati, in quanto divenne la loro sede operativa.
Da lì, negli anni, il Foro divenne ancora il fulcro delle Olimpiadi del ’60 e speriamo anche quello delle Olimpiadi del 2020.