«I dati che emergono, senza guardare solo alla drammatica giornata del 14 giugno, dimostrano che i cittadini della capitale hanno la percezione di una città molto più pericolosa di qualche anno fa. Questo è evidente prendendo la metropolitana e girando di sera per le vie di Roma, che sembra essere piombata in un clima di insicurezza molto profondo». A parlare è Marco Miccoli, segretario del Partito Democratico di Roma, che commenta i tre omicidi avvenuti nella capitale in meno di 24 ore. Lunedì sera il pensionato di origine ebraica accoltellato in via Lanciani, al Nomentano e poche ore dopo, martedì mattina, l’anziana uccisa dal nipote a Tor Sapienza.  Nel pomeriggio dello stesso giorno il regolamento di conti a San Basilio che ha portato all’uccisione di un 47enne a colpi di sprangate in testa. «Voglio anche ricordare – continua Miccoli –  che qualche tempo fa, in situazioni meno eclatanti di quelle che sono avvenute,  il sindaco Alemanno aveva scommesso proprio sulla sicurezza, imperniando la campagna elettorale e il programma del governo su questo tema. Oggi credo che, anche a causa di un modello culturale improntato in modo errato in città, ci troviamo di fronte a un vero e proprio fallimento e sono convinto che questi temi siano stati affrontati in una maniera poco efficace».



Cosa intende con “modello culturale errato”?

Si tratta di un modello incentrato completamente sulla paura, sull’esaltazione delle differenze e sul fatto che bisogna innanzitutto reprimere, invece che prevenire. Anche la movida notturna è violenta perché in città i ragazzi hanno come unico divertimento quello di andare a ubriacarsi a poco prezzo nel centro di Roma. Se invece questi giovani trovassero altri modi di spendere il loro denaro, in iniziative culturali o eventi di massa, si potrebbe tornare alla situazione di qualche tempo fa, quando la città appariva più vissuta e tranquilla.



Oggi invece com’è la situazione secondo lei?

Siamo di fronte a una capitale buia, che pensa a reprimere e a mettere i militari alle stazioni, senza capire che la città diventa più sicura solo quando la gente sta nelle piazze, nei quartieri  che sono vivi e animati da eventi culturali e sociali. Ma non è solo un problema di ordine pubblico, perché quando c’è un livello così grave di mancanza di coesione sociale e di esasperazione, in cui alcune fasce sociali sono completamente abbandonate, i temi da affrontare sono anche altri.

Per esempio?



L’inclusione e l’assistenza. Chi governa dovrebbe farsi sentire vicino ai cittadini e a chi ha bisogno. Invece abbiamo assistito a spot riguardanti l’ordine pubblico, la cacciata dei rom e alla tolleranza zero, e il risultato è quello che vediamo ora.

Cioè?

Oggi nei quartieri vediamo scippi, spaccio di sostanze stupefacenti e prepotenze di pochi nei confronti della comunità. La vicenda dei rom è quella più eclatante: sono state fatte grandi pubblicità attraverso le immagini degli sgomberi che in teoria dovevano essere rassicuranti per i cittadini, con i nomadi che lasciavano i campi con le valigie in mano. Invece abbiamo visto che dal 2008 a oggi i micro campi abusivi sono aumentati di qualche centinaio, perché quando si sgombera senza dare risposte, senza offrire valide alternative il risultato è questo.

Cosa serve a Roma per essere una città più sicura?

Roma ha bisogno di tornare ad essere la capitale, una città viva, in cui ci sia una vera assistenza ai più deboli e a chi non ha un lavoro. Roma ha bisogno che le forze dell’ordine siano in grado di operare sul territorio, e non di vedersi tagliare i fondi per la benzina delle volanti. Andrebbe  fatto un piano di ridistribuzione del controllo sul territorio che preveda meno caserme nel centro storico e una maggiore presenza in periferia, meno poliziotti negli uffici e più per le strade, con una maggiore preparazione per affrontare questo nuovo modello di criminalità. I cittadini si sentono sempre più abbandonati.

Questo senso di abbandono può portare anche a episodi di violenza?

Abbiamo bisogno di una città che dia nuova luce ai quartieri, in cui il rapporto tra l’amministrazione locale, i Municipi, i comitati di quartiere e le associazioni culturali e di volontariato possa portare a un vero controllo, che serve a capire chi sta male, chi soffre e chi può potenzialmente diventare un delinquente, e la politica deve avere il ruolo determinante di congiunzione tra queste anime della città. Abbiamo già visto quanto poco servano i “carri armati” agli angoli delle strade.

Ma non le sembra di esagerare quando afferma che Roma è al livello di una città sudamericana?

Con quell’espressione mi riferivo al 14 giugno, quando davvero si respirava un clima così. Non credo che Roma sia una città pericolosa, ma  l’altro pomeriggio arrivava ogni cinque, sei ore la notizia di un omicidio. Questi episodi non fanno altro che rimarcare l’esigenza da parte dei cittadini di una città più vivibile e più sicura. Non bisogna fare l’errore di pensare che tre omicidi in meno di 24 ore non debbano aprire un dibattito sulla situazione capitolina. C’è un grave disagio nella città e credo che i rischi siano ancora più grandi di quello che vediamo.

(Claudio Perlini)

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