Una ragazza di 17 anni è stata violentata, la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio, in un parco di Roma nord. Ancora il branco, scoperto e sgominato due mesi dopo.
Che si può dire, davanti all’ennesima storia di violenza verso una minorenne, verso una donna.  Che Roma non è una città sicura. Che c’importa delle statistiche e delle comprensibili difese degli amministratori;  sarà peggio Manila, ma ogni genitore sa bene che una figlia in giro, la sera, è in pericolo. Dunque, prima riflessione scontata, la sera tardi non si va in giro in un parco, manco se è una bella serata di maggio,  neanche con amici. Perché ci sono altri amici, più grossi e più forti dei tuoi.  Che poi magari quella sera una capatina potevano farla, quei benedetti ragazzi, al Circo Massimo, dove i centinaia di migliaia hanno passato il tempo tra canti e preghiere, nella veglia per la beatificazione di Giovanni Paolo II, anziché farsi canne e ubriacarsi. Non erano tutti preti e suore né sfigati.
E una riflessione è d’obbligo su le nostre famiglie, come aiutiamo a crescere i nostri figli, quanto li conosciamo e vogliamo conoscerli, quanto siamo disposti a concedere, perché non costituiscano un problema, un impegno, una preoccupazione.
La ragazza offesa aveva incidentalmente incontrato uno dei suoi aguzzini su fb. E’ stupefacente che fb, come le parabole e i cellulari, sia ormai un oggetto alla portata di tutti, anche dei più poveri e  ignoranti e sbandati; appendice fisica per persone incapaci di comunicare davvero,  troppo incantati dalla potenza dei nuovi media per saperli gestire con cautela, usandoli senza farsi usare. E’ sempre la storia di Cappuccetto Rosso, anche se cambiano i tempi: non si dà confidenza agli estranei, se sei una ragazzina ingenua, e sei solita startene per strada al buio.



Davanti a questa storiaccia di dolore e rabbia bestiale si può grossolanamente dire che ci sono troppi stranieri in questa capitale. Il che è abbastanza vero, soprattutto perché non ci sono accoglienza e lavoro sufficienti, perché tra gli stranieri molti sono i clandestini, e tra i clandestini parecchi i delinquenti. Nessun buonismo di spirito o di partito può nascondere o negare la realtà. Ma in questo caso, il discorso non tiene neanche un po’. I ragazzi del branco erano italiani, parlavano italiano, studiavano nelle nostre scuole. Erano figli di filippini, tra l’altro la comunità straniera più integrata e più vicina a noi, non foss’altro che per la lingua e la cultura, la religione.
Dunque, c’è il male. E l’uomo, non appena comincia a ragionare, può dire do sì al male. Succede sempre, ed è il dramma della libertà. Poi certo, il male si paga. E la galera, lunga galera, possibilmente riabilitativa, vista l’età dei delinquenti, può cambiare insperabilmente le persone. Succede. E naturalmente, il male si combatte. E’ il compito di genitori, insegnanti, educatori: a loro proporre un significato per la vita che non sia bruciarla in un prato, la notte, tra fumisterie, alcool e sesso facile. E naturalmente, paghiamo, tanto, lo Stato perché il male lo limiti. Più controlli, più soldi alle forze dell’ordine, più  intransigenza, processi rapidi. E più rispetto per le donne. Nonostante l’inasprimento delle leggi, è a livello di pensieri, di cultura in senso lato che tocca ancora lavorare. Basta sentire parlare i tanti innocui branchi che vagano in questi primi giorni d’estate per la città, in cerca di fontane e grattachecche. Non è bello come parlano delle ragazze e come le guardano. E non è bello come le ragazze si fanno guardare, e parlano tra loro.

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