«Questo è il ristorante più antico di Roma e lo dimostra la ricognizione che il presidente della Provincia ha svolto sulle attività ultracentenarie della capitale, in cui siamo risultati l’attività più longeva, perché dal 1500 risulta approvata l’esistenza del ristorante. Custodiamo gelosamente questa storia e cerchiamo di mantenere viva il più possibile la tradizione della cucina romana, attraverso le varie generazioni della nostra famiglia che si susseguono ormai dalla fine del 1800». Paolo Trancassini racconta a IlSussidiario.net la storia del ristorante La Campana, a due passi da piazza Navona, nel centro storico di Roma. Un locale storico, in cui sono passati personaggi come Caravaggio e Goethe, che lo cita addirittura in un suo romanzo come teatro di un incontro amoroso. «Originariamente il ristorante era formato da due piccole sale d’ingresso, ed era una stazione di posta, una locanda in cui la gente arrivava, mangiava per poi ripartire la mattina successiva. Proprio per questo il nostro logo è una carrozza con i cavalli. Nel ristorante abbiamo un contratto dell’800 nel quale un signore commissionava alla locanda un viaggio Roma- Ancona che sarebbe dovuto avvenire in quattro giorni e cinque notti».
Come è cambiata l’offerta nel corso di questi anni?
Rispetto a molto tempo fa, si è aggiunta la cucina del pesce fresco, ma nonostante questo i tipici piatti della cucina romana restano tutti, come l’abbacchio, il maialino, i fritti e tutte le specialità del quinto quarto.
Quindi la cucina “povera” del quinto quarto è ancora molto richiesta?
Credo che rappresenti la connotazione più decisa della gastronomia romana: per esempio l’amatriciana ha influssi esterni, come anche il carciofo alla Giudia, mentre queste parti dell’animale, che all’epoca erano considerati quasi “scarti”, come la trippa, il cervello e le animelle sono in realtà gustosissime e si trovano al centro della tradizione romana.
Un tempo venivano quasi regalate…
Secondo quello che mi raccontava mio padre, non erano proprio uno scarto, ma una forma di integrazione salariale per gli “scortichini” del mattatoio, che poi andavano a farsele cucinare nelle osterie della zona di Testaccio, dove appunto nacque questo tipo di lavorazione. Oggi c’è un mercato e questo prodotto viene venduto a un prezzo di certo non alto, ma non è così svalutato, anzi.
Cosa chiedono maggiormente i turisti?
L’abbacchio è molto richiesto, e ho notato che anche i turisti lo associano molto a Roma. Poi ci sono i Giapponesi che vanno matti per la trippa alla romana.
I giapponesi?
Sì, spesso portano con loro una foto della trippa per poterla così chiedere al cameriere e non rischiare di mangiare un’altra cosa.
Voi in che modo avete rivisitato la tipica cucina romana?
Credo che la vera sfida sia di camminare sempre sui passi che qualcun altro ha lasciato in precedenza. Oggi per molti chef la tentazione di provare sempre nuove ricette è molto forte, e anche in televisione o nelle riviste vediamo sempre grandi cuochi aggiungere, rivisitare e cambiare. Credo che la ristorazione romana non abbia bisogno di nessun tipo di innovazione, ma solo di materie prime.
Materie prime?
Oggi la vera difficoltà è trovare l’arzilla per fare la pasta con i broccoli, oppure avere tutti i giorni la verdura fresca o l’olio d’oliva di qualità. I locali che mantengono una tradizione come la nostra devono fare questo, solo così si può mantenere alto il livello della qualità della ristorazione romana.
Che rischi si corrono altrimenti?
Che in molti locali si pensi soprattutto al turista. Roma deve tornare ad avere ristoranti innanzitutto per i romani, e solo dopo per i turisti. Il contrario potrebbe risultare pericoloso. Noi cerchiamo di avere sempre le migliori materie prime e di lavorarle come i nostri padri facevano.
Però avete introdotto i piatti di pesce…
Sì, ma si tratta di un menu ristretto. Per esempio, durante il periodo natalizio, in cui Roma si riempie di visitatori stranieri e non, lavoriamo una quantità di pesce veramente esigua, perché tutti chiedono sempre i piatti della grande tradizione romana. Proponiamo il pesce perché pensiamo di dover offrire una maggiore scelta a quella clientela fissa che viene a trovarci anche più di una volta a settimana.
Davvero Caravaggio e Goethe hanno soggiornato nel vostro locale?
Naturalmente non abbiamo le fotografie, ma alcuni testi dimostrano che da noi hanno mangiato anche loro. Ma anche Fellini, Sordi e altre grandi personalità attuali. Credo però che la nostra forza vada oltre il nome importante, che fa sempre piacere ma non è paragonabile alla famiglia romana che ogni domenica viene a trovarci a pranzo, con cui si parla e si raccontano storie. Fino a che questo accadrà avremo più fiducia nell’affrontare qualsiasi periodo di crisi.
(Claudio Perlini)