La cifra l’ha fornita personalmente lei, Sveva Belviso, classe ’73, londinese di nascita, due figli e una laurea in psicologia clinica, giovane e avvenente assessore alle Politiche Sociali del Comune di Roma. “Nel 2010 – ha fatto sapere qualche giorno fa la Belviso – sono stati 38 i milioni di euro che l’amministrazione capitolina ha erogato a favore delle persone in stato di fragilità sociale e di marginalità. Di questi: 12 milioni sono stati destinati per l’accoglienza dei cittadini senza fissa dimora, 41.000 sono stati i pasti forniti, tramite le mense sociali, ai cittadini in stato di fragilità, oltre settemila sono stati i cittadini assistiti nei centri d’accoglienza capitolini e circa 88.000 sono stati i pasti a domicilio consegnati dalla Sala Operativa Sociale di Roma Capitale verso i cittadini non autosufficienti”.



Sono numeri che fanno impressione e che parlano di un impegno – quantomeno finanziario – che non va sottovalutato. Come quelli della povertà a Roma: centomila persone sotto la soglia di sussistenza, disoccupazione record, aumento degli sfratti, più di seimila senzatetto, 28.000 commercianti vittime di usura e carceri sovraffollate, almeno secondo la drammatica fotografia scattata dalla Comunità di Sant’Egidio nel suo ultimo rapporto. Che aggiunge: occorre “capire meglio la povertà e aiutare a combatterla, evitando che si radicalizzino sentimenti di fragilità sociale e di insicurezza nella popolazione, che possono fare crescere antagonismi sociali, fino a combattere i poveri e non la povertà”.



Una situazione difficile, insomma, di fronte alla quale la Belviso fa una rivendicazione orgogliosa dell’impegno della giunta capitolina: “Questo è – nonostante la crisi economica e finanziaria che colpisce i governi nazionali e gli enti locali di prossimità, che non ricevono i necessari trasferimenti economici – l’impegno fattivo dell’amministrazione capitolina a favore delle persone in stato di bisogno e di marginalità”. E non si può non dargliene atto. Ma certo – anche a livello locale – è il momento di scelte impegnative e responsabili, che possano dare il senso di una svolta, non solo nel modo di governare, ma soprattutto nel modo di intendere l’intervento della mano pubblica nella vita della nazione.



La situazione dei conti del Campidoglio, del resto, è quella che è. Ed è una “manovrona” da 388 milioni di euro quella che l’aula di Giulio Cesare si appresta ad approvare, possibilmente entro i termini di legge fissati al 30 giugno. Con acrobazie ed equilibrismi di bilancio per restare in piedi dopo le sforbiciate del ministro Tremonti agli enti locali: 284 milioni di euro in meno nella casse capitoline, tra mancati trasferimenti statali e regionali e altre riduzioni varie. Un salasso che avrebbe messo ko chiunque.

Per uscirne ci vorrebbe un De Gasperi. O almeno uno con il suo stesso coraggio. Stavolta infatti bisogna fare delle scelte e non si può più rinviare. Bisogna indicare la strada e poi percorrerla, senza infingimenti. Bisognerebbe allora chiedersi, tanto per restare in argomento, se quei 38 milioni di euro, una montagna di soldi così, possono essere spesi con maggiore efficacia, magari dando ancora più spazio alle aggregazioni sociali, alle famiglie innanzitutto, a chi, sul territorio, l’assistenza ai più bisognosi già la pratica, in proprio, con efficacia.

O riaprire il dibattito sul quoziente familiare, come sembra per esempio indicare quella delibera propedeutica al bilancio  comunale 2011, ora all’esame dell’Assemblea capitolina, che contiene due provvedimenti relativi alla Tariffa Igiene Ambientale (ex Tari) e al conguaglio dell’Iva per l’anno 2010: sulla scia della delibera sul “Quoziente Roma”, promossa dall’ex assessore Laura Marsilio, la Commissione sta valutando la possibilità di introdurre una forma di riduzione della ex Tari per i nuclei famigliari numerosi, con 2 o più figli. Segnali, forse poveri, ma che potrebbero aprire una strada. Quella della sussidiarietà.