E’ stata minacciata un’ondata di scioperi al Teatro dell’Opera che metterebbe a repentaglio la prosecuzione della stagione estiva alle Terme di Caracalla e quella stagione 2011-2012 al Costanzi che si sarebbe dovuta inaugura con l’attesa co-produzione con il Festival di Salisburgo del “Macbeth” di Verdi con la regia di Peter Stein e la direzione musicale di Riccardo Muti «A causa dei tagli ai finanziamenti e al personale si sta riducendo da un’eccellenza ad una struttura di provincia», denunciano Cgil, Cisl e Uil.
Un loro portavoce incalza: «Ormai si scarica tutto sulla buona volontà dei lavoratori, parlo delle maestranze, di falegnami, tecnici, addetti al montaggio delle scene: basti pensare che l’organico dovrebbe essere di 631 dipendenti e invece oggi all’Opera lavorano 510 persone, di cui moltissimi precari da anni che stanno cominciando a intentare cause legali visto che nessuno li assumerà mai». I pochi soldi a disposizione si traducono in tagli a scenografie e organico. «Per questo motivo non facciamo più 250 rappresentazioni l’anno come in passato, bensì solo 120, siamo diventati un teatro di provincia». E a rischio è anche il corpo di ballo. In aggiunta, secondo i sindacati, pendono sul teatro circa 250 vertenze per la stabilizzazione, riferite al collegato lavoro della legge sulla stabilità e convergenza finanziaria. Il Campidoglio ha risposto con una verifica dei conti ed un possibile incontro con i sindacati per il 21 luglio, al fine di scongiurare che a Caracalla salti l’attesa “prima” del nuovo allestimento di “Tosca”. Al momento in cui viene scritto questo articolo non si se l’incontro c’è stato e quale è stato l’esito.
Cerchiamo di esaminare la questione “sine ira ni studio”. Secondo l’ultimo bilancio depositato da me studiato nel 2009 hanno lavorato alla Fondazione Teatro dell’Opera 720 persone-anno equivalenti (includendo contratti a progetto e collaboratori). Una forza lavoro superiore a quella della Staatsoper Under Den Linden di Berlino che alza il sipario oltre 300 sere l’anno. Anche ove i dipendenti fossero 631 oppure 510 in un teatro dell’opera tedesco, americano o francese oppure ancora del Benelux , la produzione sarebbe il doppio di quella del Teatro dell’Opera di Roma.
Per un decennio, dopo tre lustri in cui saltavano spettacoli a ragione di scioperi ed il teatro perdeva pubblico, c’è stata una pace sindacale che è costata, però, un aumento del 43% delle spese per il personale (nell’arco dei dieci anni) e la depauperazione del capitale della Fondazione (bilanci alla mano). In quel periodo, quasi ogni anno alla ripresa autunnale venivano minacciati scioperi, si correva al Campidoglio che interveniva con 8-10 milioni di euro l’anno. Ora le casse sono vuote per tutti. Di conseguenza, è difficile che il Sindaco possa dare altra risposta che quella di rimboccarsi le maniche e produrre di più. Dati ufficiali alla mano, i dipendenti totali della fondazione sono 631 (rispetto a 802 del Teatro alla Scala), quelli nell’area amministrativa 71 (83 alla Scala) includendo i professionisti dell’archivio storico informatizzato (uno dei più moderni al mondo).Ma il Teatro alla Scala produce molto di più, quasi il doppio (in termini di alzate di sipario per opera e balletto, ossia escludendo quelle per i concerti) del Teatro dell’Opera .
In molte fondazioni e” teatri di tradizione”, si sono resi conto dell’autogol; se i teatri restano semi-vuoti perché il pubblico non può programmare quando ci sarà e quando non ci sarà spettacolo , è impossibile chiedere sovvenzioni a Pantalone. E’ tema su cui stanno riflettendo alcuni Sindaci- di norma Presidenti delle fondazioni – specialmente delle città d’arte dove il turismo culturale pesa. Non solo ma anche se la protesta riguarda i dipendenti delle fondazioni e non quelli di teatri “di tradizioni” o di “festival”, l’immagine che essa proietta colpisce l’intero comparto, con il rischio che potranno soffrire anche prestigiosi festival estivi. Se a Roma si torna alla prassi degli scioperi a scacchiera (come negli Anni Novanta), rilancerò la proposta (di cui allora fu entusiasta il compianto Giuseppe Sinopoli) non di commissariare la Fondazione ma di scioglierla ed affidare il manufatto ad un impresario che ingaggi compagnie da tutto il mondo (a costi e prezzi differenziati) per soddisfare il pubblico: ciascuno porterebbe coro, orchestra, scene e costumi. Basterebbe un organico fisso di 40 persone: Aix en Provence (con circa 90 alzate di sipario) ne ha 34.
Con 7 delle 14 fondazioni con i bilanci consuntivi in rosso, tre appena uscite dal commissariamento, altrettante prossime ad esserlo, con sovvenzioni pubbliche (pur pari alla metà dell’intero Fus, Fondo unico per lo spettacolo) che non coprono il costo dei dipendenti (una voce in vera e propria escalation), da anni sostengo sull’urgenza di prendere misure prima che la lirica passi dalla sala di rianimazione alla camera ardente. L’intervento, indispensabile, è sulla maggiore voce di costo: il personale, allineandone la contrattazione ed altre regole al resto del settore pubblico (dato che Pantalone lo paga interamente). E’ difficile capire perché molti teatri italiani (con 7-10 opere l’anno in cartellone) hanno un organico analogo a quello della Staatsoper di Vienna (che nel 2011 offre 50 titoli e 10 nuovi allestimenti). Contrattazione nazionale tramite la mano pubblica (nel caso italiano, l’Aran), assunzioni legate al turnover e blocco delle abitudini di alcuni di non presentarsi alle prove per svolgere altra attività professionale sono misure in atto in Germania, Austria, Francia, Benelux, oltre che negli Usa e pure in Russia, nei confronti delle quali è difficile capire le proteste e le minacce di occupazione dei teatri. Portata l’Italia nell’euro, dobbiamo portare le migliori prassi europee nella Penisola. Pure nei teatri.
Frequento il Teatro dell’Opera da quando avevo 12 anni. Avrei certo desiderato che anche quello della capitale avesse un ruolo privilegiato, analogo a quelli concessi alla Scala ed all’Accademia di Santa Cecilia, nella politica legislativa. Ciò sarebbe stato quasi dovuto dato il carattere di rappresentanza del teatro lirico della capitale (già, peraltro, riconosciuto per legge). Senza programmazione di livello (attirando anche soci privati), con poche alzate di sipario e con scioperi continui , il teatro a Piazza Gigli non può aspirare di fruire di uno status analogo a quello della Scala. Un tempo – occorre ricordarlo – il Teatro dell’Opera vinceva gare con la Scala (in termini di quantità e qualità di offerta); non è, quindi, un traguardo irraggiungibile. Oggi si sta mettendo sulla china della chiusura.