«Con un certo orgoglio posso dire che Roma è la capitale europea che viene fornita della migliore acqua. È approvvigionata principalmente dall’acquedotto del Peschiera che, dei totali 19 metri cubi al secondo, ne fornisce quattordici. L’acqua messa a disposizione dei romani è purissima e buonissima». Insieme ad Andrea Bossola, intervistato da IlSussidiario.net, Direttore dell’Area Industriale Idrico di ACEA, commentiamo lo stato di salute dell’acquedotto della capitale, partendo dalle polemiche secondo le quali, durante l’incendio nella stazione Tiburtina, non ci sarebbe stata acqua sufficiente a disposizione dei vigili del fuoco, passando attraverso le questioni della privatizzazione dell’acqua sulle quali si sono espressi gli italiani attraverso il voto nel recente referendum. «Il ritardo nel tentativo di spegnere l’incendio con l’acqua era dovuto al fatto che i vigili del fuoco sanno perfettamente che nella stazione Tiburtina c’è l’alta tensione, quindi hanno prima dovuto chiedere che venisse staccata, perché in questi casi, al posto dell’acqua, devono essere usati altri rimedi, come sabbia o schiume particolari. Una volta staccate tutte le fonti di energia si può intervenire, infatti nelle foto e nei filmati vediamo i pompieri impegnati a spengere il fuoco con le pompe a pieno regime».
Quindi l’erogazione dell’acqua è avvenuta senza alcun problema?
La responsabilità del gestore del servizio arriva fino al punto di consegna, che nel caso di Tiburtina sono le reti antincendio, di proprietà privata. Oltre questo punto la responsabilità passa al proprietario delle reti: per fare un esempio, all’interno dei palazzi il punto di consegna è il contatore, e quello che succede dopo non è responsabilità del gestore, perché si tratta di reti interne di proprietà privata.
Qual è lo stato di salute dell’acquedotto romano?
Roma gode di un approvvigionamento di un’acqua ottima, anche da altri acquedotti che sono la modernizzazione di quelli antichi romani, quindi andiamo a prendere l’acqua nello stesso luogo dove lo facevano i romani. Nel periodo imperiale, a Roma venivano portati 12 metri cubi al secondo di acqua attraverso 500 km di acquedotti, cioè poco più della metà di quello che portiamo noi adesso, e per l’epoca è qualcosa di straordinario. Infatti è ormai chiaro che i più grandi realizzatori di opere idrauliche nella storia dell’umanità sono stati senza dubbio i romani.
Nel caso in cui l’acquedotto principale dovesse subire un guasto o un malfunzionamento, come vi muovete?
Siamo l’unica città in Europa a disporre di un acquedotto di sicurezza, che abbiamo dovuto usare solo in una occasione in cui fortunatamente i romani non si sono accorti di niente. Dopo una rottura particolarmente preoccupante su uno dei rami del Peschiera, per tre ore un milione e mezzo di abitanti rischiava di rimanere senza acqua. Abbiamo così attivato l’acquedotto che, dopo aver preso l’acqua da Bracciano, passa per uno dei depuratori d’acqua più tecnologici d’Europa e abbiamo approvvigionato la città.
Cosa ne pensa del rischio della privatizzazione dell’acqua tanto discusso durante il recente referendum?
Sono un sostenitore convinto del fatto che la gestione dell’acqua debba essere affidata a società miste pubblico-private, come del resto è anche Acea, che al 51% è di proprietà del Comune di Roma e al 49% è quotata in Borsa. Ma abbiamo realtà in cui la stessa Acea ha il ruolo di privato nella gestione per esempio di Firenze, Pisa e Perugia, quindi alla fine dei conti in questo Paese non è mai stato spiegato che in realtà, dove c’è il privato, si tratta di un altro soggetto di maggioranza pubblica che è andato a fare il privato.
Secondo lei quindi gli italiani non sono stati informati a dovere sulla questione?
In questo referendum hanno vinto coloro che hanno parlato alla pancia della gente più che alla testa o al cuore. Sono stati portati 27 milioni di italiani al voto senza spiegargli cosa stavano facendo, attraverso una disinformazione assoluta. È stato avvalorato un pensiero ideologico per il quale da domani gli investimenti dell’acqua dovranno essere pagati dai comuni quindi dai cittadini attraverso le tasse.
Quale sarebbe la soluzione migliore?
Dobbiamo spiegare ai cittadini che le opere pubbliche le pagano sempre loro, e non esiste nessuno che regala i soldi per creare infrastrutture. In tutti i paesi del mondo, i cittadini pagano le opere pubbliche attraverso due modalità, le tasse o le tariffe dei servizi connessi. Come sempre la soluzione migliore sarebbe nel mezzo, cioè finanziare parte dell’infrastrutture con la fiscalità diretta e in parte con la tariffa. Il problema è che la politica nazionale non trova nessun partito disposto ad aumentare le tasse per fare infrastrutture, e l’unica alternativa possibile è che i cittadini contribuiscano pagando le tariffe, quindi non solo il servizio ma anche gli investimenti che servono per migliorarlo e per estenderlo.ù
Cosa pensa del cosiddetto “Decreto Ronchi” sulla privatizzazione dell’acqua?
Il decreto Ronchi obbligava ad affidare il sevizio a una gara, a cui poteva partecipare anche un’azienda totalmente pubblica. Solo quando l’azienda pubblica non voleva soggiacere a una gara e mantenere la concessione, doveva vendere il 40%, andando così a creare una situazioni di società mista pubblico-privata a maggioranza pubblica che vede in me un grande sostenitore. Quindi il decreto non privatizzava, ma rendeva miste le aziende pubbliche. La coesistenza di due soggetti che apparentemente potrebbero avere interessi diversi ma che poi hanno entrambi un obbligo comune, cioè quello di fornire un buon servizio, mi porta a pensare che le aziende miste pubblico-privato, come quelle della Toscana, ma anche di Roma, siano le migliori d’Italia.
(Claudio Perlini)