La statua dello scandalo, installata di fronte alla stazione di Roma Termini nel piazzale dei Cinquecento, il 18 maggio scorso, resta dov’è. La scultura, raffigurante Giovanni Paolo II (ma ci vuole un certo sforzo d’immaginazione), e realizzata dal maestro Oliviero Rainaldi, non sarà  spostata, come hanno chiesto maggioranza e opposizione capitoline. È l’orientamento assunto dalla commissione di saggi istituita dal sindaco Alemanno. La quale, dopo aver passato in rassegna articoli di giornali, recensioni, pareri degli esperti e, persino, i commenti sui blog, ha deciso di avvalersi della consulenza di una segreteria tecnica. Onde evitare ulteriori condizionamenti. Alla fine, la statua rimane al suo posto. Ma la conclusione raggiunta potrebbe egualmente mettere tutti d’accordo. Sarà, infatti, modificata. La commissione avrebbe indicato, con precisione, i punti da correggere. Che, nel dettaglio – si legge su Il Messaggero -, sono: «fisiognomica del volto, saldatura e inclinazione della testa, movimento del braccio, del mantello e della spalla, plastica del retro e caduta a spiombo dal lato sinistro». L’artista, dal canto suo, si sarebbe detto d’accordo. Anche se non avrebbe mancato di rimarcare la perfezione della sua opera. Ammettendo, a onor del vero, la presenza di alcuni difetti. Che avrebbe attribuito, tuttavia, alle lesioni provocate dal trasporto e dalle fonderie. Philippe Daverio, intervistato da ilSussidiario.net sull’argomento, si dice per nulla d’accordo con l’idea di cambiare i connotati alla statua. «E’ un vero peccato. Io la trovo molto simpatica. Credo che corrisponda allo spirito di Carol Wojtyla». Il problema, secondo l’esperto d’arte, è che «gli italiani criticano ogni cosa nuova, perché hanno la malattia del misoneismo; vogliono che tutto sia com’era ieri. Perché, siccome oggi pensano di star peggio di ieri, e temono domani di star peggio di oggi, sono naturalmente reazionari». La  questione andava trattata diversamente: «io mi sarei comportato con più cautela, avrei aspettato il tempo necessario affinché la gente si fosse abituata fino, magari, a trovarla simpatica». Del resto, «collocata lì, in modo così mesto, trovo che sia di un’umanità assoluta. A me – commenta – piace quest’uomo “storto”, con questo sorriso un po’ metafisico». Eppure, effettivamente, dal punto di vista estetico è ben lungi dall’osservare canoni di bellezza classici… «Cosa voleva? Un Wojtyla a cavallo?». In realtà, il problema, è che «la gente – spiega – deve guardare le cose per un po’ di tempo prima di comprenderle». 



Resta il fatto che un’opera moderna del genere, per l’uomo comune, non è semplice da metabolizzare. «Va interpretata, infatti, secondo i gusti di coloro che hanno autorevolezza sull’argomento. La massa non è mai in grado di esprimere un giudizio. Per questo, per fortuna, esistono delle elite che precedono il gusto della massa e le danno un’indicazione. L’arte richiede, quando appare, il giudizio elitario di chi è accreditato ad avere la capacità di pensiero. Se uno avesse chiesto alla gente comune cosa pensasse di Caravaggio quando il cardinal del Monte o il cardinal Borromeo compravano le sue opere – conclude -, lo avrebbero mandato al macero».

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