Un ragazzo di quindici anni è scappato di casa e ha vissuto come un clochard nel parco di Tor Tre Teste, nella periferia di Roma. I problemi familiari sono cominciati una ventina di giorni fa, con l’inizio del Ramadan, periodo in cui i musulmani non mangiano, non fumano e non bevono dall’alba fino al tramonto. I genitori del giovane di origine marocchina hanno sempre tentato inutilmente di trasmettere tutte le regole e le usanze religiose al figlio, il quale ha però continuato a non leggere il Corano, a non andare in moschea e a mangiare e a bere anche davanti ai familiari. Così, dopo i rimproveri del padre, il quindicenne ha deciso di fuggire di casa, staccare il cellulare e rifugiarsi nel parco della periferia romana forse con la complicità di qualche amico. La famiglia, dopo aver contattato le forze dell’ordine, si è rivolta anche alla celebre trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, nella speranza di ritrovare il giovane che intanto di notte si rifugiava in un edificio in costruzione davanti al giardino pubblico e si lavava e dissetava grazie a una fontanella pubblica in quella zona. Rintracciato dai carabinieri, è stato riaffidato ai familiari ai quali, mentre lo portavano via dal commissariato, ha sussurrato: “Tanto riscappo”. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, che da oltre trent’anni accompagna e difende i rifugiati in cerca di aiuto per ricostruirsi una vita in un paese straniero: «Questo è il problema di tante persone che purtroppo devono fare i conti con una vita in una società diversa da quella dei propri genitori e con un contesto culturale diverso. Sono situazioni in cui non sempre si ha quella libertà necessaria per arrivare a sposare una fede per scelta e non per imposizione. Credo che questa sia una sfida che consiste nel cercare il modo di andare incontro in maniera giusta e rispettosa ai desideri delle persone affinché possano arrivare autonomamente a scegliere e a vivere in maniera convinta la propria fede. Se in un Paese di cultura musulmana è più facile che si scelgano e si seguano i dettami della famiglia, in un contesto come quello europeo, dove c’è maggiore possibilità di scegliere da soli, è certamente più difficile. Ci sono tante storie di ragazzi costretti fisicamente a restare in casa per conservare i dettami della religione imposta dai genitori. Bisogna invece intraprendere un cammino in cui una persona scopre una religione e, attraverso i tanti dubbi che inevitabilmente la accompagnano, arriva ad una conclusione libera».
Giovanni La Manna ci spiega poi quali forze ha messo in campo il nostro Paese per venire incontro a queste difficoltà. Dovrebbero essere messi in campo «quegli strumenti che appartengono al contesto italiano ed europeo, dove il minore è tutelato dalle istituzioni e dove si cerca di portare anche i genitori a comprendere tutti i problemi che vive un ragazzo durante l’età adolescenziale».
«Questi strumenti devono essere messi in campo grazie a un percorso in cui è necessario far capire che la genitorialità non si realizza con l’obbligo, la forza e la costrizione. Ogni famiglia può rivolgersi all’assistenza sociale, agli psicologi e ai consultori familiari che mettono in campo delle energie utili ad aiutare le famiglie a vivere in maniera equilibrata i propri rapporti interni. Anche il ragazzo può rivolgersi alle istituzioni, che a quel punto non possono ignorare questa difficile situazione e devono assolutamente tutelare con rispetto il minore e porre in essere tutte quelle possibilità che consentono una convivenza pacifica».
Chiediamo poi al presidente La Manna se gli strumenti di cui attualmente disponiamo siano necessari a fronteggiare queste delicate situazioni: «Si può sempre fare meglio e di più però, visto che abbiamo a che fare con delle persone, non possiamo prevedere le loro reazioni, quindi bisogna prima vedere come un soggetto reagisce per poi regolarsi di conseguenza. L’importante è iniziare ad affrontare la situazione con gli strumenti che abbiamo per poi cercare di arrivare sempre di più all’eccellenza. Questo ragazzo ha reagito scappando di casa, quindi bisogna ora tranquillizzarlo e capire quali possibilità ci sono per creare una sorta di riappacificazione con la famiglia. Di storie ce ne sono diverse, e vengono sempre vissute con grande fatica da chi subisce queste situazioni e, anche se solo per un tempo limitato, segnano gravemente i soggetti coinvolti. Il fatto che il ragazzo voglia scappare nuovamente fa capire che il semplice fatto di ricondurlo a casa non è assolutamente la soluzione. Bisogna fare un progetto con lui e con la famiglia, perché se non si elimina la causa del disagio non si potrà mai arrivare a una reale soluzione».
(Claudio Perlini)