Oltre alla piccola Serena, che ha 5 mesi, l’infermiera del Policlinico Gemelli malata di tubercolosi (lei, in lacrime, ha giurato che non era al corrente delle proprie condizioni di salute), avrebbe trasmesso il batterio ad altri dieci neonati del reparto di neonatologia. Un batterio che, spiega Gian Luigi Marseglia, direttore del Dipartimento di Scienze Pediatriche del’Università di Pavia, raggiunto da ilSussidiario.net, «è antico almeno quanto l’uomo; in milioni di anni nessuno è ancora riuscito ad estirparlo». Intanto, proseguono a tappeto i controlli sui 1.271 bimbi nati tra marzo e luglio scorsi, il periodo in cui l’infermiera ha frequentato il reparto dopo aver contratto la malattia. Si procede ad un ritmo di 150 bambini al giorno, anche – per disposizione del presidente del Lazio, Renata Polverini – presso il Bambin Gesù e il San Camillo. I test dovrebbero concludersi entro il 31 agosto. Nel frattempo, ci si domanda che cosa ne sarà degli undici bambini contagiati. Per capirci qualcosa, è anzitutto opportuno sgombrare il campo dagli equivoci: «Sono state riscontrate lesioni compatibili con la patologia in mummie egiziane e in animali preistorici», spiega Marseglia.«Se resiste centinaia di milioni di anni, significa che è ben difficile sradicarla. Al momento, quindi, è ben lungi dall’essere debellata, e si verificano almeno 8 nuovi milioni di casi all’anno». Ovviamente, le diverse zone del Pianeta non ne vengono aggredite alla stessa maniera. «Per lo più, si concentra in Paesi come India, Africa, e sud-est asiatico. E’ maggiormente presente dove è più elevata la povertà. Si trasmette nell’ambito di microepidemie familiari e di condizioni di disagio e precarietà igienica». La sua modalità di trasmissione, è univoca. «Si contrae respirandola, da persona a persona. Un soggetto infetto la passa ad un soggetto sano. Allo stesso modo, la contraggono i bambini e i neonati, ovvero i bambini sotto il mese di età». Per questi, vale una differenza fondamentale: «i neonati possono essere infettati dalla tubercolosi, ma non possono trasmetterla». Per quanto riguarda, invece, le loro difese, «hanno un sistema immunitario in evoluzione – spiega -, e tendono ad ammalarsi di più. Se incontrano un soggetto infetto con il quale hanno un contatto stretto è più facile che si contagino. L’infermiera, ogni volta che respirava o tossiva, buttava fuori dai polmoni migliaia di batteri che andavano a fare parte dell’aria respirata dai bambini».  



E’ necessario, a questo punto, fare una distinzione. «Ci possono essere due casi: nel primo, il batterio si instaura nell’organismo – lo infetta – ma non provoca la malattia.  Nel secondo, invece, l’infezione provocata dal germe non rimane circoscritta, ma si diffonde, provocando gravi lesioni polmonari; nei casi più gravi – capita soprattutto nei bambini più piccolo – può arrivare sino al sangue, e da qui alle meningi (provocando meningite), alle ossa o ai reni». I neonati del Gemelli sono stati solamente infettati, mentre Serena ha contratto la malattia. «Il passaggio dall’infezione alla patologia dipende dal singolo bambino, e dal suo specifico sistema immunitario». Tuttavia, ciascuno di essi resterà infettato per tutta la vita. «Il batterio, nel corso dei milioni di anni, ha sviluppato la capacità di nascondersi all’interno delle cellule. E i farmaci di cui disponiamo, non sono in grado di distruggere tutte le cellule che la contengono». Potrebbe capitare che una persona contragga il batterio da neonato e sviluppi la malattia a 50 anni. «Allora le cure farmacologiche terranno a bada i sintomi – tosse e febbre – ma la malattia non sarà ancora estirpata». Tosse e febbre per gli adulti. Ma per i neonati? «Loro manifestano sintomi più gravi, normalmente quelli della polmonite con febbre persistente, o localizzazioni a livello del sistema nervoso, ovvero meningiti». La cura farmacologia, «per neonati, bambini e adulti, è la stessa». Nel caso dei piccoli del Gemelli, invece, «si seguiranno determinati protocolli medici, somministrando loro dei farmaci, per un periodo di 6-8 mesi finalizzati a tenere sotto controllo il batterio ed evitare che si trasformi in malattia».  

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