Non sarà l’homo novus del PD. Nicola Zingaretti, perché in politica ci sta da quando ha 17 anni, stesso cursus honorum dei maggiorenti Pci. Consigliere comunale, segretario della Sinistra Giovanile, deputato al parlamento Europeo eccetera, segretario PD Lazio eccetera. Dal 2008 presidente della Provincia di Roma, eletto al primo turno, maggioranza assoluta. Non sarà un homo novus, ma lo sembra, solletica la necessità, più che la voglia, di leader credibili. Così per alcuni è il nome giusto per riconquistare il Campidoglio. Per altri è l’asso da giocare nel partito, aprendo la strada a una nuova generazione. Zingaretti è simpatico, aperto a incontrare le diverse realtà sul territorio, pronto ad allearsi col sindaco Alemanno per arginare la Lega antiromana; pronto altresì, benché sia un ruolo impopolare, alla difesa strenua degli enti locali, che sa tanto di serrata di scudi pro casta.  Invece no, spiega. “ Lo dico da anni che dobbiamo costruire intorno alle grandi aree urbane, sperando le Province, dei nuovi enti che non sono però le città, questo è provincialismo italiano. Sono le città metropolitane. Nel mondo competono i sistemi urbani complessi: il porto, l’aeroporto, le terme, i parchi giochi, i centri commerciali sono  Roma o fuori città? Però. Stiamo attenti agli specchietti per le allodole. I veri costi della politica non li dimezzi abolendo le province; sono degli enti di secondo livello, quelli nominati dalla politica stessa, non eletti dai cittadini, quelli che accolgono spesso i trombati dalla politica. La vera semplificazione della burocrazia e la rivoluzione dei costi della politica è azzerarli subito, collocandone le funzioni sotto i dirigenti di regione, Provincia, Comune”. Vallo a spiegare agli alleati dell’IdV. “A parte la giusta volontà di differenziazione, credo che molte posizioni vengano prese perché sono cool, di moda. Poi però c’è la serietà che dobbiamo a chi ci ha scelti”. Zingaretti al Meeting, per parlare di bene comune. Ma prima un commento, e non pro forma, alle parole del Presidente Napolitano. “Parole esplosive e che confermano in un momento drammatico per l’Italia quanto sia un punto di riferimento per il paese. In qualsiasi comunità nei momenti difficili c’è bisogno di chi ricordi identità e infonda serenità e coraggio. Ora la politica in modo non ipocrita deve anche saper agire secondo le parole ascoltate, andando dietro all’apprezzamento segnato dai tanti applausi della gente”. Domani è stato invitato a parlare di lavoro come bene comune. Ovvero? “Ovvero che diventi una priorità nell’agenda economica e politica del Paese. Negli ultimi vent’anni l’art.1 della Costituzione o l’art 3, che si propone di rimuovere gli ostacoli perché si affermino i suoi valori non è stato prioritario. Viviamo in una società del rischio, ma solo per alcuni, che sono in primo luogo i giovani e le donne. E’ un danno incalcolabile per le persone: negare il diritto al lavoro significa negare la maturità, una famiglia. Ma è un problema incredibile anche per la competitività dell’Italia, che sul lavoro ha sempre basato la sua forza e la sua immagine”.



La sua firma è in calce al Patto per lo sviluppo dell’area metropolitana, promosso dalla Provincia e 17 tra organizzazioni sindacali e associazioni imprenditoriali e agricole. Che significa, concretamente? “E’ una scelta strategica, capire come riaccendere il motore del paesepartendo dalle aree metropolitane. E’ vero che crescono India, Cina, Brasile, ma anche in questi stati crescono i sistemi urbani complessi, molto integrati, efficienti, dove sussiste un alto livello di servizi, dove convivono luoghi di ricerca e luoghi di formazione, di produzione, che sono come le miniere di carbone nel 900, le aree dove si può produrre ricchezza. Nell’area di Roma c’è un’enorme ricchezza anche nell’era della globalizzazione: turismo, poli scientifici, archeologia, arte, università, artigianato, ma non c’è sistema. Per aiutare le imprese tocca dar loro un territorio competitivo, quanto a trasporti, reti di comunicazione, incontro di realtà creative”.  Portare il futuro. “Così si chiama, Portafuturo, un nuovo servizio nato nel cuore di Roma, a Testaccio, rivolto a tutti coloro che cercano formazione o lavoro. E’ un luogo e un’ide a che non esistevano in Italia e abbiamo mutuato da Barcellona.  L’idea, ahimè, attuata dieci anni fa da un ragazzo italiano, andato a studiare là con l’Erasmus.  Funziona come un centro di ascolto, di orientamento per chi vuol studiare e può essere seguito per il resto della vita,quando dovrà cercare lavoro. Con la collaborazione della Camera di Commercio, l’Unione Industriale, i sindacati, anche la vostra Compagnia delle Opere…per conoscere le prospettive credibili di lavoro, trovare i bandi per i concorsi, i posti già a disposizione.Tutto sulla base delmerito. Non per lasciar solo chi non ce la fa, ma peruscire dall’errore che per riuscire contino soprattutto scorciatoie e raccomandazioni”.



Il welfare italiano è ancora sostenibile? E’ giusto avere  le pensioni di anzianità che nel resto d’Europa sono un ricordo? “Abbiamo alle spalle una fase storica in cui sia la precarizzazione sia i costi a tutela dei soliti noti saranno pagati dai nostri nipoti. Ma la discussione su questo tema è impossibile se nell’azione della politica economica non si introduce un principio di giustizia su chi deve pagare la crisi,ed oggi questo principio non c’è, si chiedono sacrifici solo ad alcuni. Se non paga un centesimo in più chiha dieci ville sparse per il mondo, anche chi gode di privilegi ormai antistorici, di un privilegio, se richiesto di sputare sangue, non ci sta. Si deve cambiare, ma tutti quanti, come in una famiglia, dove dà e fa chi può in misura delle sue possibilità””.



Sindaco o leader della sinistra? O si schermisce anche lei? “Non mi tiro indietro. Voglio spendermi per dimostrare che c’è una classe dirigente nuova, credibile, proprio perché fa il suo dovere. La percezione del pantano politico che ci circonda non è legata alla crisi di proposte, ce ne sono anche troppe, ma alla credibilità di un’intera classe dirigente, all’autorevolezza dei suoi leader. E’ l’elemento che ha allontanato la gente dalle classi dirigenti di centrosinistra e centrodestra, la sensazione, vera, che si pensi solo agli interessi personali. Aspiro a smentirla”.

Sussidiarietà: un’utopia, una bella parola da tirar fuori al bisogno o una necessità?  “Era un’intuizione felice alcuni anni fa, oggi è l’unico strumento credibile in una fase in cui va ripensata la partecipazione e la presenza dello Stato, è l’unico modo per un’idea di sviluppo innovativo, solidale e attento alle persone. Non vedo alternative”.

 

(Monica Mondo)

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