Il 2 agosto, a Roma, è stato presentato un nuovo allestimento di “Aida” alle Terme di Cavalla, il cinquantesimo da quando, negli Anni Trenta, è stato creato il grande teatro all’aperto tra le rovine. E’ una produzione la cui realizzazione era stata messa in dubbio dalla minaccia di una difficilmente spiegabile protesta sindacale. Una trattative – si dice – è in corso ma l’allestimento dimostra che con un po’ di buona volontà ed una buona di cooperazione, il Teatro, e tutti coloro che in esso e per esso lavorano, possono vincere. E’ una produzione, da un lato, intercontinentale (la regia è del coreografo belga Micha van Hoecke, la protagonista è la cinese Hui He) e, da un altro, molto italiano perché realizzato interamente nei laboratori del teatro. E’ di grande eleganza minimalista e può essere facilmente adattato a differenti palcoscenici al chiuso ed all’aperto. Può diventare elemento portante di quell’”esportar cantando” di cui abbiamo parlato su ilsussidiario.net del primo agosto, un’operazione che la politica pubblica dovrebbe encomiare (la segnaliamo al Ministri Dalan e Romano) non soltanto per le economie che realizza e le sinergie che attiva ma anche e soprattutto perché mette in modo quello che io chiamerei l’”esportar cantando” – ossia la promozione più nobile del “made in Italy”. Il minimalismo è essenziale a “Aida” pure per altri motivi Il vostro “chroniqueur”, melomane errante dall’età della pubertà (o giù di lì), ha avuto modo di assistere ad una rappresentazione al Teatro dell’Opera del Cairo nel lontano gennaio 1969, in occasione del centenario dell’apertura dell’edificio – un grazioso teatro all’italiana di 7-800 posti con tre ordini di palchi e barcacce, modellato sul Teatro Valle di Roma distrutto da un incendio all’inizio degli Anni ’70. Il Teatro dell’Opera del Cairo – si sa- non era stato inaugurato dall’opera commissionata, in seguito ad una gara internazionale, per la bisogna (per l’appunto “Aida” di Giuseppe Verdi) ma con “Rigoletto”. La guerra franco-prussiana aveva reso impossibile il trasporto, via mare, di scene e costumi di “Aida” (confezionati a Parigi). La prima impressione che dava il teatro era il suo carattere intimo (ed un’acustica magnifica, ai livelli di quel prodigio che è il Massimo di Bellini). Lo stesso palcoscenico era poco profondo e con un boccascena di dimensioni tutt’altro che grandi; se sulla scena le masse (coro e comparse) potevano essere una cinquantina, il golfo mistico poteva ospitare 50-60 orchestrali al massimo.



Nel gennaio 1969 non si rappresentava “Aida”, ma un allestimento russo di un’opera minore del repertorio tedesco portata in tournée in “Paesi amici” (si era in piena guerra fredda e l’Egitto – pardon, la Repubblica Araba Unita era chiaramente schierata) unitamente ad una versione scenica di “Carmina Burana” (i “compagni” avevano dimenticato che Carl Orff, autore dei “Carmina”, era stato compositore di corte a casa Hitler) Una visita, anche una sola, al teatro che la ha commissionata rende immediatamente evidente che l’”Aida” (quale pensata da Verdi) era molto differente da quella della vulgata dei magniloquenti allestimenti correnti. Lo chiarisce la lettura della partitura: un esempio, non si richiedono quattro (od addirittura sei) arpe, ma due (di cui una in scena, in modo da potere essere suonate da una sola arpista). “Aida” è, in effetti, un’opera intimista (anche se le scene a due o tre personaggi sono incastonate in momenti corali) . E’ la prima delle tre opere “perfette” di Verdi, che non aveva ancora assistito al “Lohengrin”, ma aveva già superato il melodramma e si era posto su un sentiero non molto differente dal musikdrama wagneriano: flusso orchestrale ininterrotto nelle sette scene (ma divise in “numeri”), equilibrio mirabile tra golfo mistico e voci, integrazione completa dei ballabili nelle singole scene, impiego del declamato, ed utilizzazione di motivi conduttori in forma non mnemonica ma sintattica (si pensi alle “riprese” del notturno d’archi ascoltato inizialmente nel preludio e ripetuto, con varie modificazioni, in più momenti dell’opera). Occorre dire che a Roma “Aida” andrebbe rappresentata al Teatro Valle non alle Terme di Caracalla e che la messa in scena più fedele al debutto cairota è quella allestita da Franco Zeffirelli nel minuscolo teatro di Busseto nel 2001 e portata in tournée in Italia nei due anni successivi. Ci sono tuttavia esigenze di cassa e di cassetta- quindi di biglietteria. La sera del 2 agosto l’ampia platea delle Terme era stracolma ed attentissima ad uno spettacolo quasi privo di scene e di costumi. Ottimi non solo regia, costumi (Carlo Savi) e luci (Agostino Angelini) e Hui He (la protagonista). Di vario livello gli altri. Pubblico soddisfatto. Alcuni sindacalisti, con cui ho parlato, pure. Che si tratti di una felice svolta romana?

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