Un ragazzino conteso, un amore adolescenziale, e scatta la violenza. A Tor Bella Monaca, quartiere periferico della capitale, tre ragazzine di 13 anni hanno aspettato che le lezioni nella scuola media di via Francesco Merlini finissero e che i professori fossero già usciti, per chiamare a gran voce dall’altra parte della strada una loro compagna di classe che, secondo la loro versione, ultimamente girava troppo vicino a un loro amico. Cominciano gli spintoni e gli strattoni e la giovane tenta inutilmente di scappare, fino a che un’altra la colpisce violentemente in volto con un pugno, facendola cadere a terra. Un abitante del quartiere chiama prima un’ambulanza e poi la polizia: la giovane vittima, con la faccia ridotta a una maschera di sangue, è stata trasportata al policlinico di Tor Vergata in codice giallo e ha riportato una ferita all’occhio, mentre ancora non si conosce il destino delle tre “bulle”, perché il padre della vittima, raggiunto dalla polizia in ospedale, ancora non ha sporto querela di parte.
Solo pochi giorni fa il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, aveva lanciato l’allarme bande giovanili nella capitale, dopo i tanti casi di cronaca a cui abbiamo assistito: a settembre una decina di ragazzine rom, vestite alla moda e con abiti firmati per ingannare le vittime, derubavano i passeggeri della metro, mentre poco dopo altri tre ragazzini rapinavano coetanei nel quartiere Eur. Proprio a Tor Bella Monaca, invece, poco tempo fa un gruppo di ragazzi aveva picchiato e derubato di appena quindici euro e di uno zaino firmato un coetaneo, mentre a giugno erano finiti nel registro degli indagati sette minorenni con l’accusa di bullismo e di sequestro di persona. IlSussidiario.net ha chiesto un parere allo psicoanalista Luigi Ballerini: «Il primo dato da osservare è la presenza non di uno, ma di tre soggetti, un gruppo, in cui quindi non esiste più l’io e vengono messi in atto comportamenti che un singolo probabilmente non avrebbe commesso. Il fatto di essere in tre non rende solo più forti fisicamente, ma il soggetto è perso all’interno di un gruppo e si ritrova a fare cose che da solo normalmente non farebbe, come se ricevesse una forza negativa dagli altri due soggetti che lo legittima. Soggetti che vengono riconosciuti come amici, ma che amici in realtà non sono: è questa una realtà di rapporti sociali in cui l’amicizia non esiste, e si tratta a tutti gli effetti di un regolamento di conti, una spedizione punitiva nei confronti di una persona che ha commesso uno sgarbo. L’altro dato da evidenziare è il fatto che per regolare la questione abbiano usato la violenza: questo stesso regolamento poteva sicuramente viaggiare su altri binari, ricorrendo ad un’altra logica, come la parola, non c’era un reale bisogno di usare questo tipo di aggressione. Quindi sappiamo che queste ragazze regolano i loro conti in questo modo, ma è un sistema che certamente non mette a posto niente, anzi, crea ancora più problemi».
Più in generale, Luigi Ballerini spiega che «i ragazzi tendono a replicare le forme di rapporti che i loro adulti mettono in atto, e le imparano. Quindi, per esempio, se vedono che gli adulti si regolano col coltello, possono acquisire questa modalità, anche se non è detto che necessariamente lo faranno, ma certamente prendono in considerazione l’ipotesi. Quindi il problema è capire cosa i bambini vedono messo in atto tra i grandi e nella compagnia di amici, perché anche in quei casi il registro di comportamento può essere simile. Anche la periferia può influire, se per disagio intendiamo non la povertà economica, ma quella umana, e questa si ritrova spesso anche negli ambienti agiati. È certo però che se nella normalità del ragazzo sono inclusi atti criminali, lui tenderà a replicarli, e probabilmente se intervistassimo qualcuno di quei ragazzi direbbero che in quello che è successo non c’è niente di male, che è normale. L’ambiente quindi influenza, ma dobbiamo sempre stare molto attenti perché non è assolutamente inevitabile che un ragazzo che vive in un contesto del genere si comporti nello stesso modo. C’è sempre la sua libertà, che lo porterà a decidere in un modo o in un altro come uomo e come soggetto».
(Claudio Perlini)