Roma. Emergenza Malagrotta. L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, organo del ministero dell’Ambiente) ha condotto una ricerca sulla discarica di Malagrotta di Roma che entro il 31 dicembre deve essere assolutamente chiusa, dopo essere stata dichiarata esaurita dall’Ue già nel 2008. Tantissime le rilevazioni dell’Ispra, sia nel sottosuolo che nell’aria, che ha così potuto consegnare un dossier di 700 pagine in cui si dice chiaramente che «l’indagine evidenzia una contaminazione diffusa delle acque sotterranee, esterne ed interne al sito, da parte di metalli e inquinanti». Si è scoperto infatti che «in più piezometri (cioè quelle sonde sotterranee usate per i rilievi ndr) e in concentrazioni variabili nel tempo con valori superiori ai limiti di legge, sono presenti solfati, ferro, manganese, arsenico, cromo, nichel, alluminio, piombo benzene, p-xilene,cloruro di vinile, 1,4-diclorobenzene, tetracloroetilene». Inoltre, nella maggior parte dei casi, è stata registrata «la presenza della sostanza N-burtilbenzenesolfinammide, indicata come possibile marker di contaminazione da discarica di rifiuti». Il prefetto Giuseppe Pecoraro, nominato commissario straordinario per la chiusura della discarica, è alla ricerca di un luogo alternativo che possa temporaneamente ospitare le 1.500 tonnellate di rifiuti che giornalmente la capitale produce e che finiscono puntualmente a Malagrotta. E mentre il nuovo invaso dovrebbe essere collocato in località Pizzo del Prete, per quello temporaneo si pensa a Pian dell’Olmo a Riano o a Monti dell’Ortaccio, località di proprietà dell’avvocato Manlio Cerroni che da sempre detiene il monopolio di Malagrotta e dello smaltimento dei rifiuti a Roma. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Giuseppe Mininni, dirigente di ricerca del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche): «E’ sempre necessario avere i numeri esatti delle rilevazioni davanti gli occhi per capire al meglio la situazione attuale della discarica, ed è difficile riuscire a parlarne senza. Le discariche dovrebbero essere completamente impermeabilizzate e non dovrebbero assolutamente perdere parte del percolato che è contenuto all’interno, ma alla fine nessuno può sapere con chiarezza cosa stia succedendo all’interno del sito di Malagrotta. Non ci può essere una risposta univoca, ed è necessario capire a che livello le acque sotterranee siano contaminate, in che modo circolano, la loro destinazione d’uso o quanto sono profonde. Sono tanti i dati di cui bisognar tener conto ma la disciplina parla chiaro, e nel caso di un sito contaminato si deve provvedere immediatamente alla bonifica o alla messa in sicurezza d’emergenza. A seconda delle condizioni devono essere stabiliti gli interventi più urgenti da fare che devono essere programmati con delle scadenze. La discarica dispone di un’autorizzazione della Regione, che sa quanto una discarica può continuare a recepire i rifiuti, quali tipi e in quale quantità. Sono quindi Regione e Arpa che devono effettuare i controlli sul sito e eventualmente decidere quali sono le misure che si devono attuare per mantenere la discarica in sicurezza, per cui immagino che queste cose siano state fatte».



Riguardo ai metalli trovati durante la ricerca, Mininni spiega che «ferro e manganese non sono elementi tossici, e anche se fossero mille volte superiori ai limiti non sarebbe così grave. Il fatto che ci siano elevate concentrazione di questi due metalli è indice che chiaramente c’è anche la presenza di sostanze organiche, che tendono a rilasciare ferro e manganese. L’arsenico invece può anche essere di origine naturale, ma solo con i dati più precisi si può capire se attribuire la sua presenza ad un fondo naturale o meno. Bisogna capire bene qual è lo stato ambientale di Malagrotta e quanto questo sito abbia un impatto sul territorio circostante, ma per farlo è necessario condurre un’indagine molto approfondita». Giuseppe Mininni ci spiega poi quale siano le difficoltà delle discariche utilizzate attualmente e quale sarebbe invece la soluzione migliore per un nuovo impianto: «A livello di pianificazione generale, il primo obiettivo deve essere quello di ridurre la produzione di rifiuti e questo può essere fatto solo con un’ottima raccolta differenziata, che deve essere fatta anche sui rifiuti organici. Fino ad oggi hanno prevalso le tecniche del trattamento del rifiuto meccanico-biologico, in cui l’indifferenziato  viene mandato in un impianto che lo seleziona e lo separa essenzialmente in frazioni secche e frazioni umide: le prime vanno in combustione, mentre le seconde vanno nell’impianto di stabilizzazione biologica aerobica, dove si produce una FOS (Frazione Organica Stabilizzata) che finisce anch’essa in discarica. Questo tipo di impianto ha prevalso negli ultimi anni perché si pensava che la Fos potesse essere utilizzata in agricoltura, ma in realtà non può che finire in discarica. C’è quindi da chiedersi se, dopo aver attuato un’ottima raccolta differenziata, non valga la pena mandare tutto il resto direttamente a combustione, evitando così di passare attraverso l’impianto di trattamento meccanico-biologico: in questa maniera tutti i rifiuti verrebbero trasformati in scorie che essendo inorganiche non darebbero tutte le problematiche di smaltimento in discarica che danno invece quelle a matrice organica come la Fos».



 

(Claudio Perlini) 

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