Tor Bella Monaca, periferia est di Roma. Ad accoglierti in una delle borgate con la peggiore fama della capitale sono una fila di palazzoni grigi popolari. Le Torri, appunto. Da queste parti la crisi è di casa da un bel pezzo, almeno a giudicare dalle quantità di risse, sparatorie, spaccio di droga e storie di bullismo che qui si consumano, guadagnandosi molto spesso i titoli delle cronache cittadine, corredati da giudizi impietosi. Tanto che, davanti al dramma della morte di cinque ragazzi di Tor Bella Monaca, mercoledì scorso, in un terribile incidente sul grande raccordo anulare di Roma, gli amici e i parenti hanno chiesto ai giornalisti di scrivere che le vittime non erano nè sbandati nè delinquenti. “Non c’e’ solo del marcio qui, loro cinque erano un gran bell’esempio” hanno ripetuto in tanti. Mario, Mattia, Arianna, Emilia e Matteo avevano cinque belle facce pulite, avevano un lavoro e un cuore pieno di desideri e di progetti per il futuro. Ma come si fa a parlare di speranza, a non pensare a un destino non buono, ma tanto crudele da spazzare via cinque vite belle e innocenti? E’ la domanda che ha accompagnato, la sera successiva, un incontro a Tor Bella Monaca sulla crisi economica, come sfida per un cambiamento. “Sembra assurdo – in una situazione come quella che stiamo vivendo, dominata dalla tendenza all’appiattimento della vita sull’immediato e ad attribuire sempre ad altri le colpe – sembra assurdo affermare che quello che accade è positivo perchè mette in moto la persona” dice Loreto Policella, architetto, citando il volantino di Comunione e Liberazione distribuito in tutto il quartiere. A convincere che in ogni dramma della vita – di qualunque natura ed entità – ci sia una possibilità di bene, non sono i discorsi o le analisi economiche o sociologiche, ma le storie di Roberto, Sandro, Pino e Lorenzo. Lorenzo è il più giovane, anche lui ha una faccia bella e pulita, cresciuta nel grigiore di Tor Bella Monaca, un quartiere che non vuole abbandonare, tanto da aver messo in piedi la sua prima microimpresa proprio qui. Un piccolo impianto sportivo, creato grazie alla laurea in economia, alla sua passione per il calcetto e, soprattutto, alla compagnia di amici che – in mezzo a mille difficoltà – non hanno mai smesso di stimare il suo desiderio di mettersi in gioco. Anche Pino, a Tor Bella Monaca ha coronato il suo sogno: una impresa di restauro di mobili. “20 anni fa, all’inizio della mia attività ero sorretto dall’entusiasmo giovanile, che mi ha fatto stringere i denti davanti ai debiti e alle difficoltà apparentemente insormontabili ” racconta Pino” ma quando poi sono riuscito ad avviare bene l’impresa, davanti ai furgoni pieni di armadi e boiserie da restaurare che arrivavano nel mio laboratorio mi chiedevo:Beh, tutto qui? Tutta qui la vita che non dispera, ma non appaga? 



Un giorno incontro degli amici coi miei stessi desideri, ma certi di una realtà positiva. Uno di loro mi dice: guarda Pino, che forse la novità non è da cercare altrove. L’ho capito, di schianto, qualche giorno dopo, guardando mia moglie con una tenerezza nuova, che non dipendeva nè da uno slancio sentimentale nè dalla pancia piena. E così le difficoltà nel lavoro, oggi, dovute alla crisi non mi hanno gettato nel panico, perchè so cosa può bastare alla vita, a quel bisogno che sono e che neanche la moglie, il figlio , il lavoro e la casa hanno mai potuto placare.”
Lo stesso bisogno che ha spinto Sandro, 52 anni, ad aprire, in piena crisi economica, due ristoranti per seguire il desiderio di suo figlio, svogliato negli studi; la stessa certezza di un destino buono che ha permesso a Roberto, giovane fisico, di mettere su famiglia con un misero assegno di ricerca da arrotondare con alcune ore di insegnamento.
“Sono storie dell’Italia che sa ricominciare” commenta Franco Bechis, vice-direttore di Libero, come quella di Filippo La Mantia: il fotografo di cronaca nella Sicilia violenta e criminale, finito in carcere, innocente, per amore di una donna. Nei due anni di ingiusta reclusione all’Ucciardone, La Mantia sopravvive cucinando per i boss mafiosi. Un talento che saprà mettere a frutto, ricostruendosi una vita come chef di successo.
“La realtà – soprattutto quando è drammatica – è una continua provocazione che ci obbliga a prendere posizione” conclude Roberto Gerosa, che racconta come, nel suo mestiere di avvocato, la provocazione consista nell’evidente impossibilità di rispondere completamente al grande bisogno delle persone:”La vera provocazione è saper conservare quell’umiliazione di non poter rispondere a tutti come un punto di maggiore serietà in quello che ogni giorno bisogna fare.”

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