Carlo Stasolla, presidente dell’associazione “21 luglio”, che si batte a favore dei diritti dell’infanzia, ne è convinto: il Piano Nomadi messo in campo dal Comune di Roma si è rivelato un totale fallimento. Nato nel 2009, il Piano si prefiggeva l’obiettivo, spiega Stasolla, di «ridurre il numero degli insediamenti abusivi che invece si sono moltiplicati. In più, in questi due anni e mezzo secondo le nostre stime sono stati spesi 6,5 milioni di euro per sgomberi avvenuti in violazione delle convenzioni internazionali dei diritti dell’uomo». L’azione del Piano Nomadi doveva infatti prevedere la chiusura di un «centinaio di insediamenti abusivi e tollerati, per costruire 10-13 campi attrezzati. Tutto questo doveva avvenire in tre anni al massimo. Ebbene dopo due anni e mezzo siamo in una situazione disastrosa: oggi gli insediamenti informali sono quasi triplicati, circa 250, ma è un numero approssimato per difetto visto che ogni giorno ne nascono di nuovi», continua a spiegare il presidente dell’associazione “21 luglio”, che punta il dito contro gli sgomberi dei campi abusivi attuati dal Campidoglio: «Le norme prescrivono che ci sia un preavviso di 24-48 ore prima dello sgombero, che si debbano individuare alternative attrezzate e che non si possano dividere le famiglie. Nessuna di queste norme è stata rispettata». A riguardo, ilsussidiario.net ha contattato Gian Carlo Blangiardo, Docente di Demografia presso l’Università di Milano-Bicocca.
Professore, come commenta queste accuse nei confronti del Piano Nomadi del Comune di Roma?
Credo che l’idea di istituire delle strutture che siano attrezzate, funzionali e che abbiano quel minimo di garanzie rispetto alle condizioni di vita di queste persone abbia una sua logica, e probabilmente in linea teorica, si può ritenere una buona scelta. Il punto è che, come sempre, quando si mette in campo un progetto del genere bisogna avere costanza e il consenso dei cittadini per poter andare avanti. Credo che Alemanno sia partito con l’idea di un Piano ben preciso che avesse l’obiettivo di una razionalizzazione della distribuzione dei rom sul territorio, e ora, in attesa di una replica da parte del Comune, sembra che questo progetto non abbia funzionato.
Potremmo quindi chiederci perché…
Esatto, bisogna proprio cercare di capire cosa in questo Piano del Comune di Roma non è andato nel verso giusto. I campi autorizzati erano inadeguati, o comunque non sufficientemente vivibili, sia per i rom che per i cittadini romani? Credo che in questi casi, oltre tutte le accuse e le “guerre”, sia molto più sensato interrogarsi sul perché questo Piano non abbia funzionato, per poi identificare se possibile i punti deboli e intervenire per correggerli.
Quindi crede che l’idea di base del Piano non fosse da buttare via?
Credo che la logica di fondo sia condivisibile, e probabilmente anche condivisa dalla popolazione, perché per definizione la collocazione abusiva va, in un modo o nell’altro, a danneggiare qualcuno. Abbiamo però a che fare con delle persone, i cui diritti devono essere rispettati, quindi se l’amministrazione prende determinate scelte deve assicurarsi che tutto vada per il meglio. Se questo non accade, deve inevitabilmente chiedersi cosa non ha funzionato per cercare di arrivare comunque fino alla fine, perché la strada da percorrere è certamente questa.
Come dovrebbe comportarsi l’amministrazione capitolina?
Credo che sia interesse di chi governa su un territorio come quello di Roma cercare di avere il massimo controllo rispetto un fenomeno del genere, che può anche portare, come abbiamo visto attraverso spiacevoli casi di cronaca, a reazioni da parte della comunità locale. E’ bene quindi evitare tutto ciò che può creare tensione, e più si ha il controllo del territorio meglio è.
Secondo lei in che modo è possibile salvaguardare al meglio i diritti umani di queste persone?
Soprattutto di questi tempi spesso non siamo in grado di gestire un numero troppo elevato di persone che hanno bisogno di assistenza, ma nel momento in cui si ha a che fare con una dimensione numerica in qualche modo accettabile dal punto di vista delle risorse finanziarie e non, allora la cosa migliore è innanzitutto riconoscere il fatto che si ha a che fare proprio con delle persone, e questa consapevolezza dovrà poi riflettersi anche nell’atteggiamento nei confronti del “problema”. La cosa importante è che poi ogni intervento non diventi una battaglia di tipo politico, perché c’è il forte rischio che su temi come questo si possano basare campagne elettorali e comizi, solo per la ricerca di consenso, quando invece la questione va affrontata con una filosofia completamente diversa.
Il presidente dell’associazione “21 luglio” denuncia anche il fatto che molti bambini, a causa degli sgomberi, non hanno potuto frequentare la scuola.
Questo è un elemento fortemente negativo dell’intervento, e fa parte di quelle cose che vanno assolutamente evitate. Quando si ha a che fare con una popolazione di cui si vuole salvaguardare i diritti, bisogna mettere in conto anche aspetti di questo tipo. L’infanzia è certamente tra le priorità, quindi in ogni decisione che viene presa bisogna fare in modo che si tenga conto di tutti gli aspetti, perchè non è possibile che, come capita purtroppo in situazioni di questo tipo, a rimetterci siano i più deboli.
(Claudio Perlini)