Perché Roma è diventata una città infestata dal crimine in cui si spara e si uccide con la frequenza della Chicago degli Anni Venti o della Washington degli Anni Ottanta?
E’ domanda da porsi al di là dei singoli tragici fatti di sangue che da diversi mesi avvengono nella capitale e dal ritmo con cui vengono svaligiati case ed appartamenti (anche di chi scrive questa nota) nonché dal fatto che è ormai diventato quasi ‘normale’ essere minacciati da ‘parcheggiatori’ (ovviamente abusivi) di fronte allo stesso Tribunale, al Parco della Musica e nei pressi delle maggiori stazioni ferroviarie.
Ci sono, senza dubbio, aspetti sociologici nella trasformazione delle caratteristiche della città che sfuggono ad un semplice economista melomane come il vostro chroniqueur. Ci sono anche carenze della quantità e qualità delle forze dell’ordine e della stessa polizia municipale : sarebbe altrimenti difficile spiegare la diffusione di parcheggi in doppia e tripla fila e dei “tavolini selvaggi” in zone vietate. Ci sono però anche aspetti che possono essere interpretati con gli strumenti dell’analisi economica.
Negli ultimi anni l’Economics of Crime è diventata una vera e propria disciplina insegnata nelle maggiori università americane ed anche in qualche università italiana: chi desidera una rassegna sintetica della sua evoluzione, può trovare utile il saggio Economics of Crime di Erling Eide, Paul H. Rubin e Joanna Shepherds pubblicato nella rivista “Foundation and Trends in Microenomics” Vol. 2 No. 3 e facilmente scaricabile da Internet. Oppure gli atti del seminario organizzato a Roma il 27-28 maggio dalla Rivista “Questione Giudiziaria” sul tema Criminalità Economica , Economia Criminale.
Le determinanti sono molteplici. In primo luogo, come a Chicago negli Anni Venti ed a Washington negli Anni Ottanta, nella Roma di oggi varie organizzazioni criminali competono (con i loro strumenti) per il controllo di mercati: la droga, le rimesse degli immigranti, zone commerciali. Nessuna di queste organizzazioni criminali ha il controllo pieno e ciascuno dei mercati menzionati (e degli altri che si potrebbero citare) è contendibile. Ho insegnato a Palermo per quattro anni: paradossalmente mi sentivo sicuro rientrando in albergo a piedi dopo uno spettacolo del Teatro Massimo perché sapevo che Via Ruggero Settimo e Viale della Libertà erano “controllate” (anche se non si vedeva neanche un poliziotto) dato che la contesa per il controllo del territorio era finita da tempo (ed i “vinti” non avrebbero mai contestato i “vincitori”).



Ciò non vuole necessariamente auspicare che in ciascun mercato oggetto di attenzione dalla criminalità, uno dei “contendenti” vinca ed imponga la propria legge invece di quella dello Stato. L’analisi economica indica due strade: a) le disponibilità a pagare (da parte dei cittadini) per programmi di controllo della criminalità e b) l’utilizzazione di quelli che Jacques Maritain chiamava “corpi intermedi” per assicurare il “capitale sociale” essenziale per il “controllo sociale”.
Una diecina di anni fa, Mark A. Cohen, Roland T. Rust, Sara Steen e Simon Tidd hanno condotto un esperimento i cui risultati sono stati pubblicati nel saggio Willingness-to-Pay for Crime Control Programs . Sulla base di un campione rappresentativo di 1300 residenti negli Usa, stimarono che la tipica famiglia americana sarebbe stata disposta a pagare circa 150 dollari l’anno per programmi che riducessero del 10% la criminalità nel loro quartiere. Allora, queste stime implicavano una disponibilità a pagare marginale  di 31.000 dollari per uno svaligiamento , di 75.000 dollari per un assalto serio, di 253.000 dollari per una rapina a mano armata, di 275.000 dollari per una violenza carnale e di 9,9 milioni di dollari per un omicidio. Queste stime sono tra due e dieci volte maggiori di quelle derivanti da elaborazioni precedenti (basate sul costo dell’apparato poliziesco e giudiziario) e fanno toccare con mano i costi della criminalità quali avvertiti dalla collettività. E, di converso, la priorità che hanno per la collettività i programmi di controllo della criminalità. Ad esempio, se oggi si chiedesse ai residenti di Roma se privilegiare la campagna per le Olimpiadi 2020 o la lotta alla criminalità, la risposta sarebbe evidente.
Il secondo punto che emerge è che da sole le pubbliche amministrazioni non sono in grado di combattere il crimine. Occorre puntare sul controllo sociale. Perché si può essere certi di non perdere il portafoglio in un mercato africano? Gli stessi mercanti che sono pronti a vendervi per antica una statuetta appena completata si ribellerebbero ad un furto di portafoglio che metterebbe a repentaglio il bene maggiore del mercato medesimo: la propria reputazione (e la certezza delle regole). A riguardo le “autorità” devono chiedersi se è stato davvero fatto tutto il possibile per attivare la sussidiarietà dei “corpi intermedi”.

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