In merito alla nomina di Giovanna Melandri a Presidente del Maxxi di Roma, vanno lette e meditate le parole di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera. E’ piuttosto sconcertante che un governo tecnico interpreti e affidi un ente culturale ad una precisa appartenenza partitica e politica e per di più entri sulla cultura saltando le competenze, proprio quella proprietà specifica (tecnica) cui si ispira il disegno del loro tragitto di governance. Non basta infatti tra le competenze che “parli un fluente inglese” (quello delle tre I?).
Un segno ulteriore di come la cultura ormai nel nostro Paese non rappresenti più il meglio della società e un segno distintivo della forza di un Paese. Non si tratta naturalmente di disistima verso la nominata, ma di un vaso che ormai è colmo, circa lo svilimento del significato e della forma che si perpetua, insieme alla retorica dell’antipolitica. Si dirà “è stata Ministro dei Beni Culturali”, sì ma del PD. E poi qui si tratta di arte contemporanea, per di più di uno di quei “contenitori” pensati da politici locali e nazionali -come il Madre di Napoli, come il Maga (di Gallarate) ed altri- nati annusando il miraggio comunicativo e –fuori tempo- l’exploit finaziario dell’arte contemporanea –ora bolla moscia. Una progettualità nulla, senza motivazioni culturali che ha consegnato alle amministrazioni, chiavi in mano, dei fallimenti gestionali, dei luoghi in perdita, per le esorbitanti spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, riservando ai costi per la cultura i rimasugli e le convenienze, scolmando ancora il vaso della svendita della cultura. Occorrerebbe uscire veramente da ‘questo’ partitismo per rilanciare questi enti e gli altri enti, per intraprendere una strada originale, capace di tenere, di servire coinvolgendo realtà e soggetti non-profit e libere aggregazioni.
Ma se ormai si è oltrepassata la riga, come la nomina in questione va aggiunta un’altra cosa. Ancora più significativa. Dov’è Todi? Dov’è il dialogo con quell’entità che ha prodotto bellezza per secoli e che riceve, in primis dalla significativa sede della Chiesa di Roma, proprio in questi tempi, precisi input e inviti per riaprire, rivivere un dialogo sistematico con la contemporaneità, inclusa e forse questa sì, in primis, l’arte contemporanea?
Se atto di politica culturale si voleva fare di quale interezza, di quale concezione pubblica e visione aperta? Sono questi i cattolici in politica, che hanno puntellato il governo tecnico come immagine unitaria di un Paese? O la fede non è mai c’entrata nulla? Forse siamo tutti tecnicamente mimetizzati e in molti ancora disposti a controbilanciare, impastare equilibri con nomine e sedi, queste certo ancora di natura partitica o di schieramento, i cui motivi mai sapremo. Sapremo solo quello che sappiamo già, che la cultura affama tutti quelli che la fanno veramente e che almeno hanno sete di verità e giustizia.