“L’arresto di Fiorito è la pietra tombale sul Pdl. Nel partito ci sono diverse figure e storie positive, soprattutto tra i sindaci, che possono essere in grado di rompere dal di dentro e costruirsi una prospettiva per il futuro. Sarà però un percorso difficilissimo”. Lo afferma il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco, commentando la notizia della richiesta di custodia cautelare per il capogruppo del Pdl in Regione Lazio, Franco Fiorito. A firmarla il Gip Stefano Aprile, che l’ha motivata con la propensione a delinquere dell’ex sindaco che lo scorso 28 agosto è stato rinviato a giudizio per fatti avvenuti nel 2004.
Buttafuoco, perché parla di “pietra tombale” sul Pdl?
Già c’è una difficoltà di leadership, si aggiunge ora una difficoltà di classe dirigente e del gruppo intermedio, di coloro cioè che dovrebbero essere gli ufficiali di collegamento sul territorio. E’ una disfatta, la scena di uno spaccato badogliano dove non c’era ambito dell’Esercito che non fosse pietrificato nel “si salvi chi può”.
Perché imputa all’intero Pdl l’immoralità di un singolo individuo come Fiorito?
Il problema non è il singolo individuo, ma cercare di capire quanto e che cosa si può salvare delle esperienze sul territorio e nelle realtà locali del Pdl alla prova dell’amministrazione. Durante la puntata di Omnibus del 27 settembre ho avuto modo di incontrarmi con il sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, che ho trovato davvero convincente. Alla prova dei fatti anche diversi altri amministratori del Pdl hanno ottenuto buoni risultati, penso per esempio al sindaco di Ascoli Piceno, Guido Castelli, a quello di Siracusa, Roberto Visentin, tutte figure che si sono forgiate nell’ambito della storia del centrodestra.
Perché Fiorito conta di più di tutti gli amministratori virtuosi messi insieme?
Questi ultimi sono esempi che non trovano visibilità, mentre è ovvio che si vadano a raccontare i casi alla Fiorito. Il risultato positivo deve essere scovato di volta in volta attraverso degli esempi forti, basti su tutto la vicenda di Flavio Tosi a Verona. Il sindaco veneto ha avuto la forza di rompere con la Lega Nord e con il Pdl, ponendosi come interlocutore di una larga maggioranza che politicamente possiamo definire moderata. La sua vittoria è stata la conseguenza del fatto che da dentro casa ha saputo costruire un’impostazione politica che va oltre le disavventure e soprattutto il clima generale all’interno del centrodestra. Mi auguro quindi che queste figure e storie positive, e ce ne sono tante, possano finalmente rompere dal di dentro e costruirsi una prospettiva per il futuro. Ammetto però che è una strada difficilissima.
Che cosa non ha funzionato nel Pdl a livello di partito?
C’è stata una mancanza di confronto interno. Il vecchio Movimento Sociale, pur essendo radicato nel solco di una tradizione antidemocratica, era un luogo dove si discuteva, dove ci si confrontava e dove il singolo aderente del remoto angolo della più lontana provincia italiana aveva la possibilità di parlare, dialogare, dire la sua, confrontarsi con il gruppo dirigente. Quello che è venuto meno è stato questo senso di appartenenza, questa capacità di trovare parola e di confrontare la propria parola con quella degli altri.
Per quale motivo?
Tutta l’attenzione del Pdl si è concentrata sul controllo dell’etere, mentre ci si è dimenticati del territorio. E’ stato un messaggio stabilito soltanto tramite slogan ed emozioni volatili per definizione, e appunto per questo precipitate nel nulla. Sembra quasi la dannazione di Carlo Marx, secondo cui tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria. E’ avvenuto anche al Pdl che pure sembrava solidissimo.
Qual era il punto debole nel progetto politico del Pdl?
Il progetto del Pdl era tutto riconducibile alla figura di Silvio Berlusconi. Tutto dipendeva da come si svegliava la mattina il Cavaliere. La rivoluzione liberale era una delle favole più divertenti che sia mai stata raccontata. E’ soltanto una possibilità immaginata e suggerita e mai realizzata.
E’ una crisi del Pdl, o dei partiti in quanto tali?
E’ ovvio che stiamo assistendo a una crisi dei partiti in quanto tali. Quella sui partiti è tutta una discussione inutile, un politologo oggi non può che costringersi al ruolo del medium, oppure starsene per strada per cercare di capire quello che succede. Non potrà mai ricavare un’analisi seria andando a spulciare tra le schede di adesione a questo o quel movimento.
(Pietro Vernizzi)