L’etica e l’antropologia, normalmente, sono considerate, rispetto alla concretezza dei temi economici, semplici astrazioni concettuali. Esercizi di stile più o meno virtuosi incapaci di dire alcunché sui ben più sostanziosi problemi che affliggono l’umanità; si tratta, in realtà, di un errore concettuale il cui ripetersi nel tempo è stato tra le cause della crisi. “Se vuoi la pace costruisci istituzioni di pace” è titolo del Colloquio Annuale promosso dall’Area internazionale di ricerca Caritas in Veritate e realizzato con il contributo della Fondazione Roma che si terrà il 21 e il 22 novembre presso l’aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense. Abbiamo chiesto a Flavio Felice, organizzatore dell’evento, quale rapporto intercorre tra la soluzione alla crisi e la Dottrina sociale della chiesa.
Anzitutto, qual è lo scopo dell’evento
Continuare il dibattito iniziato l’anno scorso, il cui tema era lo scopo delle istituzioni sociali alla luce dei principi di sussidiarietà, solidarietà e poliarchia. Allora, fu approfondito il tema della via istituzionale della carità; ovvero, dell’idea secondo la quale il compito dei cristiani che operano in ambito culturale, politico ed economico sia quello di dar vita a istituzioni capaci di garantire la dignità della persona umana. Quest’anno ragioneremo sull’ipotesi di istituzioni che operino in realtà di tipo poliarchico – ove, cioè, ciascuna persona rappresenti un centro di potere – e il cui modello di organizzazione sia quello sussidiario. Abbiamo, in particolare, riflettuto su quale sia l’ordine mondiale in grado di garantire la pace. Ritenendo, in sostanza, che la locuzione latina si vis pacem, para bellum vada modificata in: si vis pacem, param civitatem.
Cosa intende?
La pace sociale è una condizione che necessita del contributo di ciascuno, favorendo la nascita di istituzioni in grado di garantire il rispetto della persona umana, nella libertà e nella giustizia.
In tal senso, la Chiesa cosa propone?Anzitutto, ha molto da dire sul punto di partenza: sul soggetto intorno al quale ruotano i processi sociali: la persona. Le istituzioni, quindi, sono per la persona e non viceversa. La modalità con la quale esse vengono realizzate, inoltre, è la sussidiarietà. La Chiesa, quindi, si esprime sia sul soggetto che opera sia sul metodo attraverso il quale edificare e
ordinare le istituzioni stesse.
Oggi la crisi sta investendo non solo l’economia ma gli stessi rapporti e gli equilibri tra paesi e istituzioni, mettendo la pace a rischio. In che termini la Dottrina sociale della Chiesa può contribuire alla ripresa?
La Chiesa, ovviamente, non offre strumenti tecnici, ma una riflessione sull’uomo. Tra le ricette economiche a disposizione, quella che forse maggiormente si sposa con i principi della Dottrina sociale è l’economia sociale di mercato.
Può riassumercene i principali connotati?
Anzitutto, si tratta di un modo particolare di intendere il mercato: esso non è tanto un’entità astratta, metafisica, scevra da qualsivoglia valore, quanto il prodotto, talvolta irriflesso, della cultura di un popolo. Di conseguenza, il rapporto con la politica e il diritto diventa fondamentale. Le finalità di questa concezione dell’economia sono sociali e vengono perseguite attraverso e non contro, a dispetto o nonostante il mercato. Il
quale, d’altro canto, si ritiene che vada fermamente regolamentato, dal momento che lasciato a se stesso non favorisce la libertà quanto, piuttosto, soluzioni oligopolistiche o monopolistiche. Del resto, una sana libertà di mercato è il frutto di scelte istituzionali e non dell’assenza di regole.
Qual è la peculiarità di un’impresa che agisce nell’ambito di tale quadro concettuale?L’imprenditore che opera in quest’ottica accetta l’idea che il profitto è uno strumento e non un fine e accoglie, nel suo fare impresa, parametri etici e antropologici. Il principio che dovrebbe regolare una siffatta tipologia di mercato è quello della libera concorrenza, contro la tentazione
e le derive oligopolistiche.
Dove troviamo esempi dell’applicazione di questa teoria?
Ovviamente, in Germania. In Italia, sono prevalse altre posizioni, quali un’economia di mercato ove il sociale è stato interpretato come un ostacolo all’economia; anche perché il sociale è sempre stato vissuto in ottica assistenzialista.
(Paolo Nessi)