I giornali “che contano” hanno cominciato già a imbastire processi sul Ministro della Giustizia Severino per i lacrimogeni lanciati, apparentemente, dalle finestre e dal tetto del ministero. Dico apparentemente, perché il Ministro ha disposto un’inchiesta sui fatti, affidata ai carabinieri, e il questore di Roma ha dichiarato che i lacrimogeni sono stati sparati in strada dai poliziotti e che il cosiddetto “effetto elica” ha dato l’impressione che provenissero dall’edificio. Infatti, questi razzi vengono lanciati in aria e poi ricadono a terra.



In attesa dei risultati delle inchieste, anche questi video e foto vanno ad aggiungersi all’altro materiale che si tende ad usare per denunciare l’aggressività di forze dell’ordine non democratiche. Per carità, si condanna ovviamente la violenza di una parte dei manifestanti, ma si sottolinea che la polizia è un organo dello Stato e deve rispettarne le regole, non abbandonandosi a sua volta ad azioni violente.



Non si può che essere d’accordo ed è per questo che occorre aspettare che i fatti siano definitivamente accertati, senza processi sommari ad alcuna delle parti, visto che si parla così tanto di democrazia e di diritti. Tuttavia, il rispettare i principi democratici non è, non dovrebbe essere, un obbligo esclusivo delle forze dell’ordine, ma di tutti i cittadini, anche quelli che scendono in piazza a manifestare.

Non basta quindi condannare la violenza in linea di principio, occorre che essa sia ostacolata in primo luogo dai partecipanti alle manifestazioni e dagli organizzatori, tanto più se istituzionali come sindacati e associazioni. Non è sufficiente dire ”i nostri non hanno partecipato alle violenze”. Inoltre, anche questa volta l’impressione è che non si sia trattato di una degenerazione spontanea del momento, piuttosto, come al solito, dell’azione di gruppi organizzati con un loro ben preciso programma di scontri.



Gli appartenenti a questi gruppi credo siano, almeno in larga parte, conosciuti e l’estrometterli da queste manifestazioni non significherebbe violare la libertà di manifestazione, anzi, servirebbe a difenderla. Molti di questi gruppi sembrano considerare lo Stato un nemico e riportano a slogan di tempi che si pensava passati, tipo “lo Stato borghese, non si riforma, si abbatte”. Sul Sussidiario anche altri hanno evocato il rischio di un ritorno a qualcosa di simile agli “anni di piombo”.

Allora, ci volle del tempo, troppo, per capire che occorreva “togliere l’acqua dove nuotano i pesci del terrorismo”, per usare un’espressione allora in voga. Soprattutto ci mise molto tempo la sinistra, prima di rinunciare ad analisi tipo “sedicenti Brigate Rosse” o “compagni che sbagliano”. Così come altri giocarono incoscientemente con il fuoco del terrorismo di estrema destra. E’ necessario che nessuno, per questioni ideologiche o di interessi particolari, rimetta acqua nelle bagnarole in cui nuotano, purtroppo ancora, gli avannotti del terrorismo.

E’ un compito che coinvolge tutti noi cittadini, ma che vede in prima linea governo, Parlamento, partiti, sindacati e media. La responsabilità dei giornalisti e degli opinion makers è grande, perché possono essere antenne che avvertono del pericolo, o megafoni che attraggono l’attenzione altrove. Ed è anche enorme la responsabilità di un altro motore della società, gli educatori, siano essi insegnanti o famiglie. A costo di passare per sorpassato e politicamente scorretto, negli scioperi degli studenti non vedo alcun progresso, ma un sintomo di fallimento degli educatori.