Fischi, insulti, spintoni e perfino qualche sputo. E’ stato accolto in questo modo Gianfranco Fini ai funerali dell’ex segretario del Msi Pino Rauti, morto venerdì scorso all’età di quasi 86 anni. Il presidente della Camera, prima di entrare nella Basilica di San Marco dove si svolgevano le esequie, è stato duramente contestato dai militanti del vecchio Movimento sociale e di Alleanza nazionale. Anche il segretario nazionale de La Destra, Francesco Storace, pur non avendo partecipato alla contestazione “solo perché era un funerale”, ha scritto sulla propria pagina di Facebook che Fini “ha sbagliato e di grosso a partecipare. Su di lui si è scatenato il rancore di persone e comunità diverse che si ritrovavano nel lutto per un capo che se ne va in un mondo sempre più disperso e principalmente a causa sua”. IlSussidiario.net ha chiesto maggiori spiegazioni a Marcello Veneziani.



Come giudica le contestazioni rivolte a Fini?

Credo siano state reazioni abbastanza spontanee di un mondo che si è sentito ferito e tradito e che quindi, riconoscendo in Fini il principale responsabile, non ha potuto fare a meno di inveire. L’occasione e il luogo non erano certamente dei migliori, però si deve riconoscere che in quello sfogo c’era tutta l’amarezza di un mondo che si è sentito improvvisamente vanificato e non più rappresentato.



Come interpreta la presenza del presidente della Camera ai funerali?

Presentandosi al funerale di Rauti, Fini non ha fatto un calcolo politico ma probabilmente ha avvertito un residuo richiamo e una lealtà nei confronti di un mondo e di un personaggio che hanno avuto un ruolo importante nella storia della destra italiana.  

Cosa può dirci della figura di Rauti?

Rauti aveva un ruolo un po’ anomalo rispetto alla destra come viene intesa oggi in modo diffuso. La sua maggiore originalità fu proprio quando tentò di uscire dal “cliché” della destra moderata conservatrice e, come si disse allora, tentò di sfondare a sinistra, tentando cioè di aprire a una dimensione radicale in cui gli interlocutori erano tutte le forze ostili al liberalcapitalismo.



Quanto sarebbe applicabile oggi questo tipo di destra?

E’ una destra che rimane sospesa nell’aria come un grande progetto intellettuale, ma non è facilmente convertibile in un progetto politico. E’ vero che siamo in un momento in cui tutto sembra ormai fuori dagli schemi, ma non mi pare oggi la cosa più probabile.

Crede che il Pdl possa essere preso in mano da qualche ex An o Msi?

Allo stato attuale credo di no. Forse sarebbe più probabile pensare a un ulteriore frammentazione di quel mondo e a un ritorno, in forme e contesti diversi, di una destra che possa riprendere il discorso precedente di Alleanza Nazionale e dell’Msi, ovviamente superando ogni detrito nostalgico antico. E’ però difficile pensare che tutto il Pdl possa essere preso in mano da una leadership di questo tipo: prima poteva essere quella di Fini, ma perse l’occasione.

Quali sono le maggiori colpe di Gianfranco Fini?

Le responsabilità di Fini non risiedono soltanto nella fondazione di Fli che, se vogliamo, è solamente una conseguenza. Credo invece che siano da ritrovare in quegli anni in cui ha lasciato innanzitutto deperire e fatto perdere ogni tema centrale di tutto il mondo della destra, anche quando si trovava al governo, assumendo una posizione di totale acquiescenza e subalternità nei confronti di Berlusconi. Salvo poi, a tempo scaduto e con un incarico di presidente della Camera in mano, avviare una polemica astiosa e personale nei confronti dello stesso Berlusconi.

Ma non nel tentativo di recuperare quel patrimonio perduto…

Esatto, lo fece nel tentativo di svincolarsi sia da quello che da Berlusconi, per approdare nella terra di nessuno, come poi effettivamente è stato. Nessuno gli contestava la critica nei confronti di Berlusconi, ma solo il fatto che fosse tardiva e che non fosse nel nome dei valori della destra moderna, non solo di quella nostalgica.  

Crede sia dunque probabile veder sorgere nuove realtà intenzionate a portare avanti certi valori?

Credo di sì, anche se l’attuale quadro politico è talmente fluttuante, sia a destra che a sinistra, che anche le prossime elezioni a mio giudizio non saranno realmente chiarificatrici. Il momento di fibrillazione in cui siamo entrati durerà ancora molto, si dovranno ridefinire gli assetti e dar luogo a un nuovo ciclo, quindi ho l’impressione che vivremo una competizione elettorale provvisoria. Probabilmente da qui a due anni torneremo a votare, e sarà in questo periodo che tutti i diversi ruoli si chiariranno, compreso quello della destra.

Che tipo di ruolo potrà avere questa nuova destra in futuro?

Potrà avere un ruolo solo se riuscirà a rigenerare la dignità e la passione della politica e se riuscirà a interpretare in modo creativo e moderno un partito della tradizione, in un periodo in cui tutti sembrano svincolarsene. La destra dovrebbe infatti rappresentare il voto intelligente di chi sa perpetuare ciò che è vivo della tradizione: lo spazio c’è, un bacino elettorale abbastanza cospicuo esiste, forse manca proprio chi è in grado di intercettarlo.

Nessuno tra gli ex An o Msi potrebbe al momento rappresentare una buona leadership?

Qualcuno potrebbe anche candidarsi alle primarie e ottenere risultati rispettabili, ma credo senza possibilità di vincere. Finché la destra rimarrà una componente tra le altre, nell’ambito di un contenitore, conterà relativamente senza riuscire a egemonizzare l’anima berlusconiana e democristiana all’interno del Pdl. Le primarie non riusciranno a determinare questo cambiamento, il percorso dovrà essere molto più lungo.

 

(Claudio Perlini)