L’Accademia nazionale di Santa Cecilia ha numerosi programmi per invogliare i giovani ad interessarsi alla musica “colta”, dai family concerts della domenica mattina (che attirano anche i più piccoli e in cui spesso il docente è Antonio Pappano in persona) a serie speciali di concerti per ragazzi e rappresentazioni dell’Opera Studio. Di alcune di queste attività abbiamo avuto modo di riferire.



Particolarmente importanti sono i concerti nel programma di abbonamento della stagione sinfonica che, pur se diretti al pubblico “adulto” (in gran misura con i capelli di grigi) che da decenni rinnova la propria adesione includono parti insolite e molto attraenti per i giovani. Gli “abbonati” alla sinfonica dell’Accademia sono tradizionalisti – a differenza di quelli che seguono l’Orchestra Sinfonica di Roma – e, quindi, occorre “infiltrare” chicche per le nuove generazioni in cartelloni spesso conservatori.



Particolarmente interessante il concerto del primo dicembre (si replica sino al 4 dicembre) con cui ha debuttato a Roma il direttore d’orchestra finlandese Sakari Oramo, noto principalmente nei Paesi nordici, in Gran Bretagna, in Germania e negli Usa. Il programma includeva, nella seconda parte, la quinta sinfonia di Jean Sibelius (come può mancare Sibelius se dirige un finlandese?), interessante composizione tardo romantica divisa in tre invece che nei consueti quattro tempi e densa di richiami naturalistico descrittivi. Oramo l’ha diretta con grande competenza.

L’attrattiva del concerto è, però, in brani raramente eseguiti in Italia: la Variations Symphoniques di Witold Lutoslawki, il Concerto in fa minore di Reinhold Glière e La Machine de l’être di John Zorn. Se il lavoro del 1939 del compositore polacco risente della cultura francese del Novecento storico ed è essenzialmente un esempio di virtuosismo elegante, l’accostamento dei lavori di Glière del 1943 e di Zorn del 2000 ha del geniale perché mostra molti punti di contatto tra il compositore sovietico (Premio Stalin nel 1946, 1948 e 1950) e il jazzista americano appassionato dei film di Godard. 



L’ucraino Glière (classe 1875) di madre polacca e padre di lontane origine belghe, non era affatto giovane quanto compose il concerto. Legato all’ortodossia comunista, il suo lavoro – al pari ad esempio delle composizioni jazz di Dmitri Šostakovi –è un segno di quanta innovazione ci fosse pur nell’ambito del rigore stalinista ed in anni in cui la Seconda Guerra Mondiale era in corso. E’ “un concerto” per modo di dire in quanto diviso in due movimenti per un totale di circa un quarto d’ora: un soprano di coloratura (Anu Komsi) non dialoga con l’orchestra ma ne è parte integrante in quanto canta note impervie prive di parole. Dopo un attacco quasi post-wagneriano si fa in ammiccamenti ed ironia , a richiami all’operetta ed ai balletti futuristi ed anche a qualche cenno di jazz. E’ , invece, jazz vero e proprio il breve pezzo di Zorn; anche qui l’orchestra ha tra i suoi elementi un soprano di coloratura con acrobazie vocali spericolate. Ambedue i lavori si prestano a improvvisazioni.

In breve anche a Mosca c’era un settantenne che operava un po’ alla John Cage e pure a New York la lezione di Cage si avverte ancora.