“Tutte le strade portano a Roma, dice il vecchio adagio. Ma non se c’è la neve. Le cronache di ieri sono eloquenti: un’abbondante fioccata ha messo in ginocchio le legioni dell’Urbe. Invitta e mai doma, la città eterna stavolta ha dovuto pagare un severo pedaggio di resa al generale inverno. Preoccupato per l’incolumità dei suoi più giovani amministrati, il sindaco Vetere – dopo una riunione d’emergenza in Prefettura – ha deciso di lasciare a casa per oggi gli alunni di tutte le scuole della capitale. È una decisione che probabilmente stupirà i ragazzi dell’Alto Adige. Ma tant’è: ogni paese ha i suoi usi e costumi. Per riattivare le piste di Fiumicino è arrivato il sale dal nord, portato d’urgenza in aereo. E il sindaco di Roma, protagonista della gran nevicata di ieri, un po’ come lo fu Bargellini all’epoca dell’alluvione di Firenze, ha diramato ai romani una serie di consigli di prudenza. Non è il caso di fare i settentrionali di ferro. Non siamo insensibili al grido di dolore che dal Gianicolo ammantato di bianco sale fino a noi e leggiamo con qualche inquietudine i resoconti delle angosciate riunioni alla Protezione civile e dei massicci interventi con spiegamento di forze militari. Ma l’ombra di un sorriso, almeno, dovete concedercela. Evidentemente la neve è per Roma un oggetto misterioso come lo è per Marrakech”.



Sono alcune delle parole di un bellissimo reportage sulla eccezionale nevicata a Roma del 6 gennaio 1985, firmato da uno dei migliori giornalisti dell’epoca, il milanese Guido Gerosa, sulle colonne del quotidiano “Il Giorno”. Parole venate di ironia, che servono però a descrivere bene quello che sta accadendo in questi giorni nella Capitale. E allora diciamolo subito, anche se dovrebbe essere scontato: la neve a Roma non è come la nebbia a Milano. Quando c’è, diventa argomento per gli storici. Lo sapevano bene anche gli antichi romani. Non a caso il primo inverno rigido del quale si hanno ampie notizie è quello che ricorda Tito Livio, l’inverno del 399-98 a.C., quando il Tevere gelò e non fu navigabile. Seguì poi una annata asciutta che portò pestilenza e moria di animali. Fu altrettanto freddo anche l’inverno successivo. La storia romana raccontata da Catron e Buillet, in un volume pubblicato a Parigi nel 1925, cita l’inverno del 271 a.C. quando il Foro fu coperto di neve per quaranta giorni consecutivi e il Tevere gelò ancora una volta. Anche sant’Agostino lasciò scritto che nel 77 a.C. cadde tanta neve, per quaranta giorni, da ostruire le strade di Roma. Persino il Papa, nel 1985, ha benedetto questo evento eccezionale. Nell’ insolita cornice di piazza San Pietro immersa nella neve, e nonostante il freddo, Giovanni Paolo II si rivolse a un gruppo non certo numeroso di persone che attendevano in piazza: “Saluto tramite questa neve tutti i romani coraggiosi che non hanno paura di uscire, i pellegrini e gli ospiti”, disse papa Wojtyla. “E saluto tutti quelli che sono sulle montagne per sciare, gli sciatori”, aggiunse, “trascinato” dalla nostalgia per il suo sport preferito. Rispetto alle altre domeniche – precisano le cronache dell’epoca – il Papa si affacciò alla finestra del palazzo apostolico con una ventina di minuti di ritardo.



Tutto questo per dire – e qui usiamo le parole del sindaco Vetere nel 1985 –  che i pochi centimetri di neve, una quindicina in media, caduti venerdì scorso su Roma “non sono un terremoto”. Ma sono stati comunque sufficienti a portare la città sull’orlo della paralisi. Come avvenne nel 1965, nel 1985 e tutte le altre volte che è nevicato davvero a Roma. Tutto normale, allora? 

No, perché sarebbe un errore banalizzare le ore, a volte anche difficili, che molti sono stati costretti a trascorrere chiusi in casa o bloccati nel traffico per il ghiaccio o fermi nei vagoni del treni o degli autobus pubblici. Benché sia sempre successo, è sempre più difficile comprendere una Capitale dove tutto si ferma se cade la neve. È un problema di mezzi? Certamente. È una carenza di strutture? È probabile. È un problema di mancato coordinamento? Non è difficile pensarlo. Ma certo prima o poi qualcuno dovrà farsi carico di porre rimedio a queste carenze. È stato anche un problema di previsioni sbagliate o tardive? L’impressione, per la verità, è stata proprio quella, almeno secondo quanto raccontano i puntigliosi che i siti specializzati li hanno più volte interrogati in quei giorni. Fosse stato più chiaro prima quello che si stava preparando, forse qualcosa di più si sarebbe potuto fare.



E le polemiche? La maggior parte dei romani sembra averla presa con filosofia, più impegnata a godersi la nevicata e gli irripetibili paesaggi-cartolina che a mettersi a litigare. Fondisti e discesisti si sono lanciati alla conquista di piste improvvisate a piazza di Spagna, sul Lungotevere, nei parchi. Molto ambita dai più bravi la Panoramica di Monte Mario. Celebrata l’apoteosi dei fotografi dilettanti, accorsi a immortalare dall’alto e dal basso gli scorci e i paesaggi capitolini eccezionalmente innevati. Consumato il folclore degli abbigliamenti polari, ora assemblati alla meno peggio ora firmatissimi, del punch al mandarino e della gita sul Gianicolo. La nevicata insomma i romani l’hanno vissuta giocosamente. Disturbati, forse, solo dal fastidio manifestato da molti salotti e salottieri di fronte all’invito delle autorità a tenere pulito almeno davanti ai portoni e ai negozi. Come se tutto dovesse arrivare sempre e solo dall’alto e come se, quando c’è un evento eccezionale, non ci sia da rimboccarsi le maniche e dare una mano.

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