Ci sono almeno quattro buone ragioni per cui chi crede nella grande musica non deve perdere una vera rarità: l’oratorio Das Buch mit sieben Siegeln (Il libro dei sette sigilli, dall’Apocalisse di Giovanni) di Franz Schmidt, in programma l’11, 13 e 14 Febbraio alla Sala Santa Cecilia del Parco della Musica a Roma.
La prima è che questo oratorio è non soltanto l’ultima grande composizione portata a termine da Schmidt, ma anche la sua più importante e significativa. Viene raramente eseguita in Italia a ragione dell’enorme sforzo produttivo che comporta. Che io ricordi in Italia si è ascoltata in Vaticano, alla presenza di Pio XII negli Anni Cinquanta, e successivamente solo nel 2003 come inaugurazione del Festival di Musica Sacra “Anima Mundi” a Pisa. In questa partitura di fenomenali dimensioni, che si riallaccia alla ricca tradizione degli oratori da Bach a Mendelssohn e che culmina in un portentoso “Hallelujah!” degno di stare accanto a quello celeberrimo del Messia di Händel, Schmidt ha racchiuso ed elaborato tutte le sue enormi facoltà compositive: il sinfonista, il dominatore della musica vocale più accesa e drammatica, il virtuoso d’organo e il contrappuntista si trovano riuniti in uno al massimo livello di concentrazione. Quindi, ci sono determinanti strettamente musicali per andare ad ascoltare
La seconda è filosofico-religiosa. Il testo è il Libro dell’Apocalisse di Giovnni nella traduzione in tedesco fattane da Martin Lutero. Uno degli scritti più controversi e difficili da interpretare non solo di tutta la Bibbia (ultimo Libro del Nuovo Testamento), ma probabilmente della storia della letteratura di tutti i tempiPer illuminare il proprio tempo, Franz Schmidt, carismatico insegnante di composizione e stimato compositore di due opere e quattro sinfonie, pur ammirando Schönberg e Berg, che a loro volta ne ricambiavano con rispetto la stima, fu tra coloro che preferirono adottare un linguaggio riconoscibile come derivazione dei grandi modelli del passato, quali Brahms e Bruckner. Così il suo gigantesco capolavoro si costruisce su un lessico musicale immaginifico, nobile, profondo e soprattutto di grande impatto emotivo.
La terza è storico-politica. L’oratorio nacque pochi anni dopo la Quarta Sinfonia, tra il 1935 e il 1937, e venne eseguita per celebrare il centoventicinquesimo anniversario della del Musikverein di Vienna il 15 luglio 1938 sotto la direzione di Oswald Kabasta.
Nell’Austria degli anni Trenta, ancora profondamente turbata dal cataclisma che con la fine della Prima Guerra Mondiale spazzò via il “Mondo di Ieri” dell’Impero Asburgico, e teatro del tragico “Anschluss” che ne sancì l’annessione forzata al Terzo Reich di Adolf Hitler, la vita musicale oscillava tra le avanguardie dodecafoniche e un estenuato tardo-romanticismo post mahleriano, entrambi espressione del tormento di una città che, come Vienna, manteneva saldamente un ruolo centrale nella vita culturale della mitteleuropa. Il lavoro è però anche un’opera del ventesimo secolo, che parla dei problemi del proprio tempo e del Zeitgeist per illuminarli in una visione di forte affiato religioso, al tempo stesso apocalittico e trasfigurante. Un forte avvertimento cristiano a “non tacere” mentre Vienna stava diventando nazista.
La quarta riguarda la produzione specifica. Sul podio dell’Orchestra e del Coro di Santa Cecilia ci sarà Leopold Hager (Fabio Luisi,inizialmente previsto, è stato costretto a rinunciare ai concerti a causa di sopraggiunti e inderogabili impegni al Metropolitan di New York) e un cast di grande calibro sarà impegnato in questa opera assai di rado presente nei cartelloni: Günther Groissböck (La voce di Dio, basso), Herbert Lippert (Giovanni, tenore), Maureen Mc Kay (soprano), Stephanie Atanasov (contralto), Timothy Oliver (tenore), Jacques-Greg Belobo (basso); organista Michael Schönheit.