I dipendenti del commercio protestano a Roma. Dalle 9.30 di domenica è infatti in corso un presidio, organizzato dalla Filcams Cgil, davanti al centro commerciale Cinecittà 2 in viale Palmiro Togliatti, per cercare di boicottare lo shopping domenicale e per contestare la parte del decreto liberalizzazioni che consente ai commercianti di tenere aperti gli esercizi durante domeniche e festivi. Al presidio era presente anche Susanna Camusso, leader della Cgil: «L’unica offerta sociale che si avanza sembra quella di passare la propria vita in un centro commerciale», ha detto, spiegando che «il sindacato unitariamente sta già contrastando le aperture generalizzate. E anche nel mondo della Grande distribuzione non c’è stato consenso unanime al provvedimento del governo». La Camusso ha poi aggiunto che «la domenica va preservata nel suo valore, perché il consumo non può essere l’unico modello di vita sociale», mentre il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha sottolineato come il governo abbia «deciso di liberalizzare l’apertura dei negozi e dei centri commerciali senza discutere con nessuno. Non è stata una scelta saggia né liberale per un Paese come l’Italia, che ha anche forti radici morali e culturali sul tema del lavoro domenicale». IlSussidiario.net ha quindi chiesto un commento a Mario Bertone, segretario generale della Cisl di Roma, e a Valter Giammaria, presidente di Confesercenti Roma. Quest’ultimo ritiene l’iniziativa messa in campo dalla Cgil molto positiva, spiegando che anche la Confesercenti si dice contraria «al prolungamento degli orari degli esercizi, che porta inevitabilmente a un impoverimento del tessuto delle nostre città. Come spesso diciamo, il Pil di un Paese non si rilancia con l’aumento dell’orario di lavoro, anzi, questo porterà senza dubbio a una diminuzione dei posti di lavoro, e non a un incremento. Ogni cinque addetti che vengono espulsi dalla piccola e media impresa, solo uno viene assunto dalla grande distribuzione e dai grandi gruppi: questo è un dato visibile già da molto tempo, in particolare a Roma, dopo le tantissime aperture di centri commerciali e outlet in città e in provincia». Entrambi gli intervistati parlano poi dell’attuale capacità di spesa degli italiani, notevolmente ridotta dopo l’inizio della pesante crisi economica che il Paese sta ancora attraversando. Secondo Bertone, infatti, «quando parliamo di consumo, dobbiamo pensare anche che i cittadini, soprattutto in questa situazione di particolare crisi, non hanno la possibilità di spendere tanto e di avere una grande capacità di spesa. Credo quindi che questa spinta al consumo e al consumismo sia senza dubbio fuori luogo, oltre ad essere particolarmente diseducativa, perché non è vero che si risolve tutto spendendo nei centri commerciali. Dovremmo quindi stabilire in che modello di società vogliamo vivere, e credo che in Italia  non ci siano proprio i presupposti per far ricorso a questo tipo di spinta rivolta ai consumi. Un esercizio non guadagna di più se resta aperto anche la domenica, ma guadagna di più se c’è capacità di spesa, cosa che oggi le famiglie non hanno».



Inoltre, ci spiega Valter Giammaria, «gli unici che possono permettersi queste aperture sono i marchi della grande distribuzione, mentre piccole e medie imprese con pochi dipendenti non possono pensare di lavorare 365 giorni l’anno. Inoltre non è affatto vero che più si sta aperti e più si incassa, anzi, ormai è vero quasi il contrario: i soldi da spendere sono sempre di meno, quindi se si rimane aperti 8 o 24 ore non cambia assolutamente niente». Giammaria quindi conclude affermando che  «quella riguardo le aperture dei negozi è stata una scelta scellerata del governo e dei partiti che l’hanno appoggiata, perché dobbiamo sempre ricordarci che decisioni come queste vengono appoggiate anche dai partiti, altrimenti non passerebbero. Provvedimenti come questi portano solo a morire migliaia di aziende e a far perdere ancora più posti di lavoro». Quindi, concludono entrambi gli intervistati, a riguardo servono regole più chiare e precise. Mario Bertone spiega che in ballo ci sono «rapporti di lavoro, contratti e tempi, quindi devono esserci regole più chiare. Su questo abbiamo aperto un confronto con il Comune per cercare di comunicare che su questi argomenti dovrebbe avere una posizione molto più chiara». Anche Giammaria la pensa allo stesso modo: «E’ un problema serio, per la cui soluzione ci stiamo battendo con grande forza affinché nel commercio ci siano regole chiare e precise. L’orario di un esercizio deve essere consono alla vita di chi ci lavora e di chi vive in quella zona, perché un negozio aperto 24 ore su 24 va certamente a influire anche sulla tranquillità dello stesso quartiere».



 

(Claudio Perlini)

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