“Io lavoro perché mi è una necessità indispensabile all’anima, Per il resto, se vi è qualcosa da dire, penseranno i miei disegni e le mie sculture”. Queste alcune parole pronunciate dallo scultore Giacomo Manzù. Chissà, davvero che cosa potrebbero dire le sue opere, sulla diatriba fra la Provincia di Bergamo, luogo natale dell’artista, che chiede la traslazione delle sue spoglie al comune romano di Ardea, cittadina dove il grande scultore scomparve nel 1991 e dove sorge un museo- mausoleo a lui dedicato, gestito dallo stato. La moglie appoggia la provincia orobica e chiede la traslazione. “E’ una questione che riguarda gli eredi e non capisco la polemica fra gli enti politici e i giornali che se ne occupano- dice il professor Vittorio Sgarbi a Il Sussidiario.net– e non Bergamo o Ardea. Teoricamente, se è morto ad Ardea ed è stato sepolto in quel luogo, Bergamo non può fare nulla se non dedicargli un monumento, perché le ceneri appartengono alla moglie e alla famiglia”.  La Provincia di Bergamo aveva già acquisito nel 2002 quattro opere dell’artista che attualmente sono in mostra a Palazzo Tasso. Il sindaco di Ardea, Eufemi non gardisce la richiesta bergamasca e controbatte: “Il museo deve restare sul litorale a sud di Roma anche «perché l’intero movimento culturale, nazionale e internazionale ne riconosce il radicamento territoriale”. Abbiamo chiesto un commento a Giuseppe Frangi, esperto e appassionato d’arte.



Come giudica la richiesta della Provincia di Bergamo di avere le spoglie di Manzù?

Così come appare, sembra che abbia un po’ l’aria di una pretesa: una cittadina come Ardea, dove Manzù ha vissuto per gli ultimi trent’anni e che quindi ha scelto come casa sua e che gli ha dedicato un museo, è molto legata alla sua storia. Alla luce di questo, per proporre la traslazione delle spoglie occorre avere delle forti motivazioni. Diverso sarebbe se Ardea non fosse più in grado di gestire la fondazione e tutto ciò che è legato alla sua memoria: ma non mi sembra questo il caso.



Forse, le autorità bergamasche intendono far valere le origini dell’artista.

Se la motivazione di portare la salma a Santa Maria Maggiore è puramente simbolica, di riappropriazione della memoria di un artista che poteva essere nato a Roma ma è diventato comunque famoso in tutto il mondo, la questione mi lascia perplesso. Occorre, a mio parere, rispettare la sua parabola e la scelta di Ardea come patria.

La moglie stessa chiede che la salma venga traslata a Bergamo.

Questa è una questione curiosa. Probabilmente ha il desiderio di rilanciare la memoria del marito ma deve spiegare le motivazioni di una tale richiesta. Sarebbe, però, più interessante capire se ci fosse un progetto di valorizzazione della sua produzione in un contesto differente.



Potrebbe scatenarsi una guerra fra le due istituzioni?

Non avrebbe senso, in un momento come questo, innescare un braccio di ferro fra due zone d’Italia. Anche perché, se davvero c’è un progetto che eventualmente coinvolge anche la moglie la famiglia deve essere motivato perché rischia di essere vissuto come uno sgarro da chi lo subisce.

Quale potrebbe essere una proposta per mettere d’accordo le due città?

Forse, la città di Bergamo e la Provincia dovrebbero metter nero su bianco un progetto vero e proprio sulla valorizzazione artistica del patrimonio che ha lasciato Manzù e la via migliore per far ciò potrebbe essere la creazione di un gemellaggio fra le due istituzioni per evitare che questo venga percepito come un “furto” ad una comunità che, ormai, sente come suo. Un’unione perché no fra nord e sud in nome di Manzù in modo tale che non ci sia qualcuno che guadagna qualcosa e qualcuno che ci perde.

Lei ha memoria di altri episodi simili?

La più famosa è il trafugamento da parte dei fiorentini della salma di Michelangelo, sepolto a Roma. L’artista non aveva mai voluto tornare a Firenze da vivo per una querelle con la famiglia dei Medici. Ma questo è avvenuto in altri tempi e con altre motivazioni. L’iniziativa della Provincia di Bergamo mi sembra un gesto più altro politico-rappresentativo e non un’azione partecipata con la popolazione.