Roma. I cittadini del quartiere Monti scendono in piazza domani per difendere il mercato rionale della Baccina. Non è un fatto singolare che gli abitanti di una zona difendano le bancarelle che settimanalmente popolano le vie della zona in cui vivono. E’ di pochi giorni fa, infatti, la notizia che l’Authority boccia i mercati rionali della Capitale, giudicandoli anti-igienici e abbandonati: di contro, nove cittadini su dieci li salvano. Non solo. Li preferiscono ai tradizionali negozi e supermercati giudicandoli più convenienti. Nella Capitale ci sono 129 mercati e 5694 banchi, quindi un mercato ogni 10 chilometri quadrati quadrati. In particolare, quello della Baccina, uno dei più antichi di Roma, causa malumori fra residenti e ambulanti. Da tempo, ormai, lamentano fruitori e venditori, non vengono riassegnate le licenze per poter aprire nuovi banchi con la conseguenza che il mercato rischia di scomparire. Ecco, dunque, che i residenti si riappropriano della piazza e, domani, allestiranno banchetti- self-made per salvare un pezzo di storia del loro quartiere. Abbiamo chiesto un parere per Il Sussidiario.net a Paolo De Nardis, Docente di Sociologia all’Università La Sapienza.
Professor De Nardis, alla luce dell’affezione dei residenti del quartiere Monti per il mercato della Baccina, quanto sono ancora importanti i mercati rionali?
Il mercato rionale riveste una grande importanza poiché ha sempre sottolineato l’idea di comunità e di aggregazione, di inclusione all’interno di una piazza sociale. Nella Capitale, soprattutto, perché è una metropoli molto estesa formata da municipi, quartieri e il mercato è un punto di riferimento per i processi di socializzazione. Spesso è anche luogo di rappresentazione di sentimenti, affettività, espressività e , a volte, di emotività per alcuni personaggi che lo popolano. E’ un luogo pregno di memoria e coscienza popolare poiché spesso è posizionato nel cuore di un quartiere e ne racchiude tutte le tradizioni.
Nell’epoca dei mega centri commerciali non risulta un po’ anacronistico?
Dipende da che logica si intende seguire. Se si tende l’occhio solo al profitto e al capitalismo occorre rispondere a questa domanda in maniera affermativa. Dimenticando il fatto, d’altra parte, che negli ultimi anni queste forme aggressive di capitalismo ci ha massacrato da un punto di vista finanziario e come, ad esempio, è successo che il grosso agglomerato uccide il piccolo esercizio a conduzione familiare. Ma se si batte un’altra pista, che riguarda la socializzazione all’interno delle tradizioni e la ricerca di un certo tipo di qualità di merce, evidentemente, i centri commerciali risultano perdenti. In questo senso, mi trovo d’accordo con l’antropologo francese Marc Augè che definisce questi posti immensi “non luoghi” ossia, sia le strutture necessarie per la circolazione delle persone e dei beni, in cui nessuno entra mai davvero in relazione.
Una visione che coinvolge, quindi, anche l’aspetto psicologico?
Certo, in questi “non-luoghi” non si va oltre l’algidità del puro scambio mentre invece i mercati rionali rappresentano la ricchezza del capitale sociale che, non ha nulla a che vedere con quello economico, e che coinvolge la fiducia, l’amicizia e quell’emotività che fanno le storie di tutti i giorni e le buone, vecchie e robuste tradizioni.
Perché in alcuni quartieri sono così amati, ad esempio a Monti, e in altri i residenti fanno di tutto per smantellarli e riappropriarsi degli spazi pubblici?
Nella morfologia della struttura urbana romana siamo di fronte a una scacchiera che coinvolge chiaro scuri molto marcati. Nei quartieri più anonimi e in cui l’urbanistica è stata più avara a discapito di storia e ricchezza culturale, i mercatini rionali fanno molta più fatica ad attecchire e spesso, per cause di forza maggiore, non è nelle priorità dei residenti. Nel centro storico o in altre zone più periferiche con una tradizione e una storia ben delineati come San Lorenzo, Garbatella e, in un modo diverso, anche Centocelle le bancarelle trovano il loro spazio naturale. Mentre ci sono altre aree come Trastevere o Testaccio che se perdessero i banchetti e gli ambulanti non sarebbero più le stesse.
Secondo lei è possibile individuare un fruitore-tipo del mercato rionale?
Certo, è il residente della zona che vive quotidianamente il quartiere e lo ama. Nonne, mamme di famiglia che comprano nelle bancarelle sotto casa perché c’è una fidelizzazione sia da parte degli ambulanti sia per la preferenza per certi tipi di banchi piuttosto che altri.
(Federica Ghizzardi)