E’ di pochi giorni fa il corteo che ha sfilato per le strade di Roma contro la privatizzazione dell’Acea, l’Azienda Capitolina che fra i vari, eroga il servizio dell’acqua. Oltre ai cittadini, che chiedevano al sindaco Gianni Alemanno di fermare la vendita della municipalizzata, un gruppo di manifestanti, mostrava attraverso vari striscioni, il proprio disappunto per gli stipendi da capogiro dei manager Acea, pubblicati su alcuni quotidiani. Insomma, la questione Acea continua a tenere banco. “Penso che occorra distinguere il ragionamento generale nel merito e sul metodo con cui viene svolta la privatizzazione- dice il Professor Antonio Massarutto, docente di Politica economica ed Economia pubblica presso l’Università di Udine- Mi sembra, nel modo affrettato in cui viene spinta l’operazione, che la tendenza sia quella di voler vendere per far cassa”.



Professore, è contrario alla cessione delle aziende pubbliche da parte dei comuni?

Non sono affatto contrario alla cessione da parte delle amministrazioni comunali, anzi: sono convinto che detenere il 51% di alcune controllate, da un lato, non sia una garanzia della finalizzazione del ruolo delle aziende all’interesse dei cittadini e dall’altro, penso che un controllo sulle aziende possa essere garantito con una quota inferiore.



Cosa c’è, dunque, in gioco?

E’ la modalità poco chiara con cui questa operazione sta avvenendo.

Il Referendum dello scorso anno ha dimostrato che un milione e duecentomila cittadini hanno votato contro la privatizzazione: perché se ne parla ancora?

Premesso che Acea non si occupa solo di servizi idrici ma possiede tutta una serie di prestazioni nel settore dell’energia. Se dovessimo misurare il valore di Acea isolando la componente idrica, resterebbe una quota molto marginale. Detto ciò, il referendum non vieta la privatizzazione di un azienda né tantomeno quella di Acea in particolare. Ha semplicemente abrogato una legge che obbligava i comuni ad andare a gara e forzava chi non intendeva farlo a cedere le quote: questo, però, non significa che un comune non lo possa fare, solamente non è obbligato a farlo. Quindi, il sindaco Alemanno è legittimato dalla legge a portare avanti la sua idea. E’ chiaro che il significato politico del voto è un forte messaggio dei cittadini verso il mantenimento in mani pubbliche della gestione dei servizi idrici. Quello che percepisco è che il modo con cui l’operazione è prospettata appare tendente a favorire in modo, anche abbastanza smaccato, i grandi azionisti privati di Acea con modalità che lasciano abbastanza perplessi.



Perché?

Perché la vendita di un’azienda pubblica va svolta con una gara aperta tenendo ben presente ciò che avverrebbe in futuro, cioè ciò che rendono i servizi pubblici dell’azienda. Mi aspetterei, per esempio, che dopo la vendita il comune indicasse quale strumenti alternativi intende mettere in campo per governare il servizio affidato alla nuova azienda. Mi sembra che le società quotate, e Acea è una di queste, hanno ricevuto affidamento originario ancora prima di essere quotate, con modalità molto generose e contratti piuttosto laschi e con interlocuzioni fra parti pubbliche e aziende davvero poco incisive unite. Finchè i contratti fra un’azienda ed un comune che la possiede al 100% si rivelano morbidi, non vedo il problema. Diverso è il discorso se l’azienda entra nel mercato attraverso una privatizzazione. In più, mi sembra evidente che il comune di Roma trovandosi in ristrettezze finanziarie, la tentazione forte è quella di far cassa vendendo l’argenteria di famiglia e utilizzarne i proventi per la spesa corrente o per finanziare una campagna elettorale in vista.    

Quali potrebbero essere gli aspetti positivi e negativi per i cittadini che si celano dietro la vendita?

Se a Roma ci fosse l’esigenza di  fare un investimento, per esempio, per una nuova linea metropolitana e la vendita di Acea potesse servire a liberare risorse da destinare al progetto, la privatizzazione potrebbe costituire un vantaggio per il cittadino. E’ molto meno conveniente se questo serve solo a finanziare una spesa corrente e, una volta passata l’emergenza, le generazioni non potranno usufruire dei benefici della spesa nè il patrimonio che ha finanziato questo esborso.

E’ ipotizzabile che, con la vendita, la bolletta si possa alzare?

La vendita di Acea non ha nulla a che vedere con le bollette poiché, attualmente e in futuro, saranno regolate da un’autorità di vigilanza esterna. Molti si aspettano che una privatizzazione possa condurre, in certi settori, ad un avvicendamento dei costi. Non penso che questo sia il caso, poiché il settore idrico è un monopolio naturale e si sa che l’efficienza è figlia della concorrenza più che di un azionariato pubblico o privato e non penso che un semplice passaggio di mano delle azioni possa favorire un aumento o riduzione dei costi. Quindi da questo punto di vista i cittadini possono stare tranquilli.

(Federica Ghizzardi)