Tutti gli imputati per i presunti abusi sui bambini dell’asilo Olga Rovere di Rignano Flaminio sono stati assolti. Il Tribunale di Tivoli ha stabilito che il fatto non sussiste. Lo sceneggiatore Gianfranco Scancarello, le maestre Patrizia Del Meglio, Marisa Pucci e Silvana Magalotti, e la bidella Cristina Lunerti non hanno violentato e seviziato i 21 bimbi, 19 dei quali costituiti parti civili, della scuola materna. Tutto aveva avuto inizio il 9 luglio del 2006, quando tre famiglie sporsero denuncia presso i carabinieri di Bracciano per presunte violenze sessuali nei confronti dei loro figli di 3 e 4 anni da parte delle maestre della scuola. Negli anni si aggiunsero numerose denuncie, mentre gli abitanti della cittadina si dividevano tra chi era convinto della colpevolezza degli imputati e chi del fatto che si trattasse di una psicosi collettiva. Resta da capire, se il fatto non sussiste, come sia possibile che dei bambini così piccoli, interrogati, possano essersi inventati tutto, con dovizia di particolari verosimili relativi ai presunti abusi. IlSussidiario.net lo ha chiesto a Raffaella Colombo, psicoanalista e psicopedagogista. «Un bambino, in genere, vuole far piacere all’adulto, essere dalla sua parte, compiacerlo. A meno che non abbia dei motivi particolari per essergli ostile. Tutto può dipendere, quindi, da come gli sono state poste le domande».



Ecco, in genere, cosa accade: «Sappiamo che, normalmente, un genitore che sospetti che il figlio ha subito dei maltrattamenti non si limita a domande effettivamente interrogative, in grado cioè di lasciare aperta ogni possibilità di risposta quali, ad esempio: “cos’è successo?”. Al contrario, il suo essere allarmato lo porterà a fare domande precise, e ad assumere un atteggiamento ansioso, minaccioso, incalzante. Invece di chiedere: “Dove ti ha toccato?”, domanderà: “Ti ha toccato lì? In quel punto?”. Il bambino, o per compiacerlo o, semplicemente, per farlo smettere, risponderà “sì”». Gli imputati sono stati prosciolti. Quel che è certo, tuttavia, è che i piccoli hanno comunque subito una sorta di violenza, seppur di altra natura da quella oggetto del processo. «Questi bambini sono stati esaminati, interrogati, portati dal medico, messi sotto la lente di ingrandimento e sotto i riflettori. Le indagini li hanno sottoposti ad un sovraccarico psichico che non è esente da ripercussioni». Le conseguenze sul piano psicologico non saranno trascurabili: «nel bambino resta un senso di imbarazzo e di incertezza nei rapporti tale per cui, prima di parlare o raccontare qualcosa a qualcuno – quindi, anzitutto, ai genitori – ci penserà due volte. Si tratta di una perdita di purezza e sicurezza di cui tutti i bambini dispongono». Sul lungo termine, ovviamente, i contraccolpi saranno diversi a seconda di come si sarà affrontato caso per caso. 



«Per intenderci: ci sarà il bambino che, diventato ragazzo, si comporterà come un bullo, giustificandosi con i traumi subiti da piccolo e ci sarà quello che avrà superato l’accaduto. Molto dipenderà dal comportamento degli adulti che gli stanno intorno. La vicenda ha lasciato un segno anche nei genitori e ritrovare la serenità per tornare a trattare i propri figli con naturalezza sarà difficile». Alcune condotte sono del tutto da evitare: «Potrebbero assumere un atteggiamento iper-protettivo, impedendogli, ad esempio, di frequentare estranei». Altre, infine, sono auspicabili: «I genitori dovranno prestare attenzione a far sì che le relazioni sociali dei propri figli non subiscano delle modifiche. Sarà loro compito fargli comprendere che la brutta storia è finita. E, soprattutto, fargli capire che saranno sempre presi sul serio. A prescindere da quello che racconteranno». 



 

(Paolo Nessi)