«L’emergenza sfratti nella capitale è in realtà presente in tante altre città italiane, ma in una metropoli grande e con un così alto numero di alloggi in affitto come Roma è inevitabile che i dati risultino molto più evidenti. Resta però il fatto che quello che sta avvenendo nella città è la fotografia di un fenomeno che coinvolge tutto il Paese e che da qualche anno a questa parte non riguarda più solamente le città metropolitane ma anche tutte le province». Guido Piran, Segretario generale del SICET, il sindacato inquilini della Cisl, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net la grave crisi abitativa che persiste nella capitale e nel resto del Paese. Secondo i sindacati ogni giorno a Roma dieci famiglie vengono cacciate di casa dall’ufficiale giudiziario e il rischio è che la situazione possa addirittura peggiorare, visto che la proroga per gli sfratti concessa a dicembre dal governo riguarda gli indigenti ma non i casi di morosità.
Segretario, come si è arrivati a questo punto?
E’ semplicemente l’effetto di alcuni decenni di assenza di politiche abitative indirizzate alla protezione sociale e all’edilizia pubblica, ma anche la conseguenza di politiche di liberalizzazione del mercato attuate dal 1992 in poi.
Si spieghi meglio.
A quel tempo si incolpava l’equo canone e, prima con i patti in deroga e poi con la legge n. 431 (“Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo”ndr), si è scelto di liberalizzare il mercato privato dell’affitto. Questo non ha portato alcun beneficio, né un allargamento dell’offerta né un maggior incontro tra domanda e offerta, visto che i prezzi sono comunque aumentati in modo spropositato. Niente accade per caso: tutto questo è l’effetto di politiche sbagliate che hanno portato ad aumentare il problema abitativo molto prima della crisi finanziaria.
Cosa può dirci invece riguardo la proroga concessa a dicembre dal governo?
Anche in questo caso è necessario fare una precisazione. Nel 2007 il governo Prodi emanò la legge n. 9 sull’emergenza abitativa (“Interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali” ndr) che forniva una serie di indicazioni atte a prorogare gli sfratti, una pratica però sempre condannata da tutti, a partire dalla Corte costituzionale e non solo. Questa legge aveva dunque l’obiettivo di gestire l’emergenza.
In che modo?
Stabilendo le fasce economiche e sociali delle persone che potevano accedere alla protezione, come famiglie con minori, anziani, ammalati, disoccupati e così via, e introducendo una procedura per chiedere la non eseguibilità dello sfratto. Il problema è che all’epoca le famiglie coinvolte erano circa 25-30 mila in tutta Italia, mentre oggi sono circa 2.000. E’ lampante quindi che la proroga degli sfratti è una pratica puramente teorica, perché di fatto viene attuata per un numero veramente esiguo di famiglie.
Stava anche parlando degli sfratti per morosità…
Come dicevo, da questa tutela restano fuori coloro che per diversi motivi, dal 2007 in poi, non hanno avuto la possibilità di pagare l’affitto. Fatta eccezione per i sindacati degli inquilini, tutti hanno sempre affermato con convinzione che tutelare chi va in morosità è illegale e incostituzionale.
Lei cosa ne pensa?
Credo che questo non sia assolutamente vero, visto che ormai la maggior parte delle famiglie che vanno in morosità non lo fanno per colpa o per volontà ma per una incapacità reddituale di corrispondere i canoni di locazione. Per questo da sempre chiediamo interventi che possano essere anche legali.
Per esempio?
Dicendo questo non voglio sostenere che in caso di morosità il giudice non debba dichiarare lo sfratto, perché è normale che in caso di mancato pagamento venga applicata la legge. L’elemento della protezione sociale per queste famiglie deve però intervenire nel momento in cui lo sfratto deve essere eseguito, un momento in cui riteniamo importante valutare la condizione sociale ed economica della famiglia e capire se è possibile aiutarla in qualche modo.
Per esempio?
Non bisogna certamente sospendere lo sfratto ma solamente la concessione della forza pubblica per eseguirlo, fino a che non si trova una soluzione. E’ proprio in questo momento che deve dunque intervenire lo Stato: l’articolo 11 della legge 431 prevedeva un fondo di sostegno all’affitto per le famiglie, stabilendo dei criteri che sono più o meno gli stessi per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica. Il problema è che a seguito di un primo stanziamento, adesso il fondo di sostegno agli affitti è pari a zero, passando così dai 360 milioni di euro del 2000 al nulla di oggi.
Quali soluzioni possono essere dunque pensate?
La “ricetta” che andrebbe utilizzata la comunichiamo ormai da una decina d’anni e consiste in concrete politiche abitative. Questo significa riprendere con modalità riformate una politica di edilizia residenziale pubblica a canone sociale in cui l’affitto è commisurato al reddito. E’ necessario poi affrontare l’emergenza attraverso il fondo di sostegno per l’affitto, rifinanziandolo in modo adeguato, e attraverso la riforma della legge sui canoni con un unico regime contrattuale a canone contrattato.
Cosa farà secondo lei l’attuale governo?
Guardi che queste iniziative sono già presenti nei documenti istituzionali dell’attuale governo. Il 7 giugno il Consiglio dei ministri ha approvato il Piano Famiglia in cui tutte queste proposte sono elencate chiaramente, quindi quello che occorre fare è ormai noto a tutti. Bisogna solo vedere se e come si deciderà di intervenire, e su questo sinceramente ho i miei dubbi.
(Claudio Perlini)