Accogliente, inclusiva, legata al territorio e costituita da una fitta rete familiare e affettiva da cui i cittadini faticano ad allontanarsi: il “valore del sociale a Roma” è stato descritto in un dettagliato rapporto del Censis presentato pochi giorni fa nell’ambito degli Stati Generali del Sociale e della Famiglia di Roma Capitale. La capitale è da sempre una città che accoglie e integra persone provenienti da territori vicini e lontani e proprio per questo ancora oggi si può dire che “romani si diventa”. Il vero cuore della comunità capitolina è però costituito dalle relazioni familiari: dall’affettività alle esigenze concrete, tutto ruota intorno alla famiglia, tanto che si tende, per quanto possibile, a vivere in prossimità dei parenti. E anche se la prossimità territoriale conta meno, spiega ancora il rapporto, “guai a cedere a visioni riduttive dei quartieri, anche periferici, perché ovunque in città, periferie incluse, esiste una fitta rete di relazioni sul territorio. Il vicinato è infatti considerato una forma di comunità dove ci si conosce, frequenta ed eventualmente aiuta. Il quartiere è per molti uno spazio di relazioni importante”.
Naturalmente non mancano i disagi: “Ci sono 107mila non autosufficienti e 80mila disabili, 74mila giovani che non studiano e non lavorano, 131mila persone che vorrebbero andare a vivere per conto proprio ma non ci riescono a causa dei costi elevati delle case, 63mila disoccupati di lungo periodo, 29mila persone con almeno cinquant’anni alla ricerca di un lavoro, 106mila famiglie a basso reddito, nelle quali si contano 62mila persone che lavorano”. E crescono le vulnerabilità potenziali, tanto che il rapporto Censis parla di un vero boom del numero di persone che vivono sole: 303mila in più negli ultimi dieci anni. Sono però tanti i romani che dichiarano di dedicarsi in modo regolare (213mila) o saltuariamente (253 mila) ad attività di volontariato informale e organizzato. “Si tratta di più di 61mila giovani con età fino a 29 anni, 125mila adulti con età tra 30 e 44 anni, 170mila tra 45 e 64 anni, 110mila anziani. Il 45% dei romani è iscritto o partecipa alle iniziative di varie associazioni (sportive, ambientaliste, culturali, ecc.) presenti in modo capillare sul territorio”.
IlSussidiario.net commenta i dati del rapporto con Paolo De Nardis, docente di Sociologia presso l’Università La Sapienza, secondo cui «Roma è sempre stata il cuore pulsante della tematica sociale, in particolare dal dopoguerra ad oggi. In più è sede del Vaticano e del Vicariato che storicamente si sono sempre posti come importanti punti di riferimento per l’analisi delle problematiche sociali e di eventuali interventi. Per il modo pressante e veloce in cui si è sviluppata nel giro di pochi decenni, la città è stata crocevia di aspetti davvero molto interessanti ma anche di forti contraddizioni e conflitti: in particolare gli scontri di classe e le lotte urbane hanno creato negli anni Settanta quella che diversi sociologi hanno chiamato la “dialettica del baraccato”. Questa stessa figura antropologica del “baraccato” è poi diventata l’abitante delle periferie, alcune delle quali nel boom del mercato immobiliare sono diventate veri e propri gioielli come Garbatella, San Lorenzo, Pigneto e così via».
Le periferie romane, spiega ancora De Nardis, «sono una vera miniera di valori e nel corso del tempo hanno fortemente cambiato la propria fisionomia. Non abbiamo più le periferie di Pasolini degli anni Cinquanta e dei “Ragazzi di vita”, ma i quartieri si sono spostati molto più in là di quelle che io chiamo “le nuove mura” della città, vale a dire il Grande Raccordo Anulare. Le stesse periferie rappresentano oggi veri e propri centri vitali grazie a reticoli di servizi che in passato di certo non avevano». Ciò nonostante il rapporto centro-periferia resta molto problematico e, «nonostante ci sia un’omologazione più forte rispetto al passato tra il centro della città e le aree più periferiche, è tuttora evidente una viva conflittualità che spesso in questi ultimi anni è degenerata in una violenta microcriminalità, anche se ovviamente non paragonabile a quella degli anni Settanta».
Il professor De Nardis parla poi di un aspetto multi-sociale della capitale, che in passato è stato portato avanti e sviluppato «dalle diverse associazioni e organismi presenti in modo capillare sul territorio e dal lavoro dei sociologi romani accademici e non, attraverso numerosi studi rivolti al decentramento urbano e la partecipazione dei cittadini nei primi anni Settanta. Non è infatti un caso che il primo corso di laurea e la prima facoltà di sociologia siano nate proprio nella capitale». Parliamo infine di famiglia e dell’importanza dei rapporti e delle relazioni affettive: «Il cittadino romano è da sempre molto familista e il nucleo familiare diventa welfare, ovviamente finché può. Il problema è che se invece questo rapporto si tramuta in un familismo morale di tipo privato a lungo andare può anche rivelarsi deleterio: la famiglia ha un valore se dialoga con il pubblico, quindi è ovvio che le istituzioni devono ricoprire un ruolo più centrale nella vita dei romani, cosa che attualmente non accade.
(Claudio Perlini)