L’idea è del X municipio di Roma. Per le cosiddette seconde generazioni nasce la “civil card”, una tessera che racchiude tutti i dati anagrafici dei minori nati nel nostro Paese da genitori stranieri: uno strumento, dicono dalla decima circoscrizione, che possa aiutare ragazzi a tutti gli effetti romani e soprattutto italiani, a non sentirsi esclusi. A partire da oggi saranno consegnate in piazza di Cinecittà le prime diciannove “Civil Card” ai ragazzi che ne hanno fatto richiesta. Secondo il 21esimo rapporto della Caritas/Migrantes, i minori stranieri presenti in Italia sarebbero attualmente 993.238 e secondo l’articolo 2, della legge n.91 del 5 Febbraio 1992, possono richiedere la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno di età, solo dopo aver dimostrato la residenza ininterrotta e certificata nel nostro paese. Abbiamo sentito il parere per Il Sussidiario.net di Maurizio Ambrosini, professore di sociologia dei processi migratori e sociologia urbana all’università degli studi di Milano e responsabile scientifico del centro studi sulle migrazioni nel mediterraneo di Genova, dove dirige la rivista “Mondi Migranti”.



Professor Ambrosini, come giudica questa iniziativa?

E’ un documento che probabilmente intende dare risalto alla nascita italiana dei ragazzi. Tutto ciò che simbolicamente rappresenta l’inserimento dei figli di immigrati e afferma l’appartenenza alla società italiana è largamente positivo e ci mette di fronte al fatto che c’è una nuova generazione: i dati parlano di quasi un milione di minorenni nati in Italia, dalle radici miste con un’identità composita e plurale. Ed è responsabilità di tutti, a cominciare dalle loro famiglie, che questi ragazzi trovino una strada per un inserimento nella nostra società. In caso contrario è difficile pensare che si adattino a restare ai margini della società e rimangano nel nostro Paese.



Cosa accadrebbe?

Come vediamo in altri paesi gli esiti possono essere disastrosi: una crescita di seconde generazioni in condizioni di disagio e di marginalità crea disordini sociali. E’ per questo che la cittadinanza, non è tutto, ma è importante: rappresenta un passaggio simbolico importante anche perchè consentirà, in futuro, un accesso all’impiego pubblico che storicamente che, storicamente, in tutte le società riceventi, è uno dei principali canali di promozione delle seconde generazioni. Forse però il problema non è quello dei ragazzi nati nel nostro Paese che hanno un percorso agevolato rispetto agli altri.



Da che punto di vista?

Per chi non è nato in Italia, ma è arrivato anche solo dopo un mese dalla nascita non vale la richiesta della cittadinanza al compimento del diciottesimo anno ma sono c’è l’obbligo di compiere una trafila molto più complessa, la stessa degli adulti. E’ proprio per questi ragazzi che servirebbe un cambiamento.

 

Cosa proporrebbe?

 

Magari alcuni anni di scuola, o l’aver conseguito un titolo di studio superiore in Italia, potrebbero diventare criterio per poter accedere alla cittadinanza. Questo metodo è stato approvato di recente da Barack Obama, applicato addirittura ai figli di immigrati irregolari per la richiesta di permesso di soggiorno.

 

Vede possibile un’ipotesi del genere anche in Italia?

 

Per ora non la vedo possibile. In Italia siamo ancora molto indietro: abbiamo ancora molti problemi irrisolti come, ad esempio, l’iscrizione anagrafica. Avendo le famiglie immigrate situazioni abitative intricate e spesso soggette a sfratti, per i ragazzi si rende complicato dimostrare la continuità abitativa in Italia.

 

Non pensa che su questo tema si consumi una guerra ideologica e politica?

 

Certamente e, purtroppo, complica inutilmente le cose. Da una parte abbiamo chi usa frasi a effetto del tipo “I diritti a casa loro” e dall’altra la retorica che vede gli immigrati senza diritti. Sono ideologie sbagliate che non aiutano a far avanzare il problema verso una risoluzione ragionevole.

 

L’Italia fatica a riconoscersi multi-etnica?

Certamente, dal punto di vista della concessione della cittadinanza fa fatica a riconoscersi tale poiché è la più restrittiva dell’Europa a quindici, tuttavia l’Italia è un Paese molto più multi-etnico di quanto si possa pensare. Nel mercato del lavoro ci sono circa tre milioni di immigrati occupati, un milione di famiglie che necessitano dell’assistente domiciliare per i loro anziani, una crescita dei matrimoni misti. Del resto, gli stranieri sono i cosiddetti “nuovi vicini” e non fatico ad immaginare molti anziani che sanno più cose della Romania che di qualsiasi altra nazione, magari più vicina geograficamente e culturalmente all’Italia. Per la rivista “Mondi Migranti” abbiamo condotto un’indagine nei quartieri popolari di Milano e oltre un terzo degli immigrati ha un circuito di aiuto quotidiano composto da persone italiane. Questo è il Paese reale, sebbene in alcune rappresentazioni venga dipinta come una nazione spaventata.

 

Nel confronto con gli altri Stati europei?

 

Avanzano le restrizioni sulle richieste di cittadinanza così come la diffidenza verso gli stranieri anche in Paesi che nell’immaginario collettivo appaiono più liberali, come l’Olanda.