I tagli previsti dalla spending review rischiano di lasciare al verde il Campidoglio che, a fronte di una situazione già di per sé critica, potrebbe dover rinunciare a 50 milioni di euro entro la fine dell’anno e ad altri 200 a partire dal 2013. La scure del governo sui Comuni italiani annuncia infatti una riduzione pari a 500 milioni di euro per l’anno in corso e 2.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013, cifre che fanno tremare il sindaco Alemanno e che portano a immaginare che la giunta, costretta a dover subire anche gli effetti della riduzione dei fondi regionali, non potrà far altro che tagliare i servizi ai cittadini. Ne parliamo con Aristide Police, professore di Diritto amministrativo presso l’Università Tor Vergata di Roma.



Professore, cosa ne pensa?

E’ evidente che su tutte quelle pubbliche amministrazioni le cui condizioni di sostenibilità e di finanza pubblica risultano già problematiche, una riforma di questo tipo incide in modo molto più significativo. La dura reazione dei rappresentanti in Consiglio comunale e delle diverse forze politiche sono comprensibili a fronte delle enormi difficoltà già presenti nella gestione amministrativa del Comune di Roma.



Come giudica quindi questa “revisione” della spesa da parte del governo?

Il modo di affrontare la cosiddetta “revisione” di spesa presenta nello stesso titolo del provvedimento una significativa caratteristica: il decreto si intitola infatti “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica ad invarianza dei servizi ai cittadini”. Questo significa che, rispetto ad amministrazioni che presentano una sostanziale condizione di equilibrio, la revisione della spesa può forse essere portata avanti senza particolari effetti sui cittadini, quindi con quell’invarianza che viene annunciata nel titolo del provvedimento.



Cosa cambia invece nel caso di Roma?

Molto più problematico è realizzare questo risultato su enti locali che presentano una situazione finanziaria già particolarmente compromessa. E’ chiaro che su contesti come quello romano, gli effetti di una manovra di questo tipo determinano una sostanziale consapevolezza dell’impossibilità di assicurare il rispetto della revisione con una invarianza dei servizi. Di conseguenza la stessa collettività locale, a cui è già chiaro il livello di essenzialità di molti servizi capitolini, si accorge che queste manovre porteranno la città a un’ulteriore minore efficienza.

Come reagirà dunque il Comune di Roma?

In questo difficile bilanciamento tra esigenza di revisione della spesa e garanzia dell’invarianza di qualità e quantità del servizio è evidente che nel Comune di Roma si determina una sorta di corto circuito. Lo stesso titolo delle “disposizioni urgenti” sembra quindi essere, più che una indicazione di contenuto, un ossimoro che determina un sentimento di impotenza. Il problema si pone poi in termini addirittura moltiplicati anche dal numero degli abitanti del Comune, nel senso che l’incapacità di rendere un particolare servizio determina l’insoddisfazione di un numero molto elevato di cittadini che abitano la più grande città del Paese.

Come giudica quindi le scelte del governo?

Una volta elencate le gravi conseguenze che il provvedimento porterà, non si possono tuttavia ignorare le ragioni che hanno motivato tali azioni da parte del governo. Le ragioni di fondo sono complessive e in parte derivanti da vincoli esterni e a mio giudizio si trovano su un rilievo valoriale che supera quello della qualità dei servizi ai cittadini del Comune di Roma o di altri enti territoriali. Questo perché si tratta di esigenze che si pongono sulla tenuta stessa dei conti pubblici complessivi e dell’efficacia della Repubblica come organizzazione in grado di far fronte ai bisogni essenziali della collettività nazionale.

 

Secondo lei in che modo la città può affrontare almeno in parte i tagli previsti?

E’ ovvio che pensare a una soluzione che non comporti rinunce o sofferenze è da escludersi a priori, laddove per sofferenze si intendono drastiche riduzioni di impegni di spesa in termini organizzativi, con una razionalizzazione burocratica degli uffici, e in termini di servizi e di prestazioni, con una riduzione della quantità degli stessi. Pur con tutte queste difficoltà, credo che l’amministrazione comunale possa comunque trovare dei modi per far sì che la scure del governo abbia un minore impatto.

 

Come?

E’ necessario innanzitutto valorizzare e quindi probabilmente anche dismettere parte delle partecipazioni in società con capitale pubbliche, restituendole al mercato. Un’altra soluzione possibile è invece la valorizzazione e la dismissione di parte del patrimonio immobiliare, visto che quello a disposizione del Comune di Roma è assai cospicuo, soprattutto in aree di straordinario pregio della città. Insomma, ci sono diverse modalità di intervento che andranno dosate con gradualità evitando misure drastiche, ma credo che l’avvio di un piano del genere possa rappresentare una concreta azione per ridurre l’impatto dei provvedimenti del governo.

 

(Claudio Perlini)   

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