L’Opera Studio dell’Accademia di Santa Cecilia, guidata da Renata Scotto, si distingue da iniziative analoghe (Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, Scuola dell’Opera di Bologna, Scuola della Scala) perché pone l’accento non sul Settecento (da molti ritenuto come un terreno di elezione per la formazione di giovani voci) ma sul Novecento. Inoltre, per la prima presentazione in pubblico dei giovani cantanti-attori in azione, utilizza la Sala Petrassi (700 posti) le cui dimensioni sono tali da consentire a voci “giovani” di cantare senza sforzarsi. Un anno fa ha  prodotto La piccola volpe astuta di Janá ek, in prima esecuzione a Roma con grande successo lo scorso anno, l’inizio ad un progetto triennale di Teatro Musicale del ‘900 che vede protagonisti, accanto ai giovani dell’ Opera Studio, i professori d’Orchestra dei Corsi di perfezionamento diretti da Carlo Rizzari.



Quest’anno la scelta è caduta su due capolavori del teatro musicale novecentesco: L’heure espagnole di Ravel e Gianni Schicchi di Puccini, due partiture – affidate alla regia di Cesare Scarton – che, pur provenendo da contesti molto diversi, si collocano nell’ambito del teatro comico e formano un dittico dal perfetto equilibrio musicale e teatrale. Lo stesso Ravel affermava che componendo L’heure espagnole intendeva “rigenerare l’opera buffa italiana”, anche se profondamente trasformata nelle sue strutture portanti: L’heure espagnole è una commedia musicale, scriveva il compositore, nella quale predomina non tanto la melodia quanto la declamazione plasmata sulla prosodia della lingua francese con i suoi accenti e le sue inflessioni. Un procedimento comune anche a Puccini che, in Gianni Schicchi, pur usando formule melodiche di grande fascino, adotta un linguaggio modellato sul parlato nel quale l’umorismo nasce dal carattere insolito dell’armonia, del ritmo, del disegno melodico e dell’orchestrazione. Se Ravel ha voluto recuperare a suo modo la tradizione dell’opera buffa italiana, inserita in un contesto di raffinatezza squisitamente francese, Puccini mette fine a quella lunga tradizione nata come genere a se stante all’inizio del Settecento. Le scene sono di Gennaro Vallifuoco e le proiezioni sono di Flaviano Pizzardi. Lo spettacolo che ha debuttato a Roma l’11 settembre inaugurerà il 16 settembre il Festival musicale reatino al Teatro Vespasiano di Rieti. Astuto l’allestimento scenico che mira a creare un collegamento tra i due lavori che vengono presentati nella stessa serata: non due opere separate, dunque, ma un’unica serata divisa in due atti.



I protagonisti delle due opere hanno iniziato la loro già rilevante carriera artistica proprio all’Opera Studio ma possono vantare esperienze artistiche di alto profilo professionale: ad esempio, Rosa Feola  è già stata diretta da grandi direttori quali Zubin Mehta e Riccardo Muti e si è esibita in importanti teatri tra cui La Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli e il Teatro dell’Opera di Roma; Sergio Vitale (ha cantato al Teatro alla Scala di Milano e alla Deutsche Oper di Berlino; Davide Giusti (è vincitore di numerosi premi internazionali; Carmen Romeu (Concepción) si è esibita, tra l’altro, al Palau della Musica di Valencia e al São Carlos di Lisbona. Molti i punti positivi dello spettacolo, visto ed ascoltato alla “prima” dell’11 settembre: l’abilità con cui l’orchestrazione (tanto Ravel quanto Puccini scrivono per organici molto vasti) è stata rielaborata per il meno numeroso complesso Ensemble Novecento dell’Accademia, l’ottima prova data dai giovani cantanti-attori, la spigliata regia e l’efficace impianto scenico. Il punto debole è la scelta de L’heure espagnole poiché cantare in francese richiede una conoscenza della lingua e della sua pronuncia che non ci si può aspettare da giovani. Alcuni anni fa , ricordo un’edizione del Faust di Gounod al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto con esattamente gli stessi problemi. L’heure espagnole è stata concepita, plasmando musica e canto in modo che si comprendesse ogni parola. Purtroppo, la dizione era incomprensibile.

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