Lo scandalo Laziogate mette il Pdl con le spalle al muro e costringe Silvio Berlusconi a difendere personalmente l’operato della ormai ex governatrice Renata Polverini. Il partito non è allo sbaraglio, afferma il Cavaliere, e tutti i gruppi nel Consiglio regionale del Lazio erano corresponsabili, maggioranza e opposizione: per questo, sostiene l’ex premier, è “necessario intervenire con estrema decisione, con coraggio e severità”, altrimenti la politica italiana “rischia di morire nel discredito in conseguenza di comportamenti collettivi e individuali intollerabili al senso comune e alla coscienza pubblica”. Il direttore de Il Tempo, Mario Sechi, contattato da IlSussidiario.net, non condivide però la strategia adottata dal Pdl nei giorni precedenti le dimissioni della Polverini. La cosiddetta strategia del “bunker”, in cui il partito tenta di resistere all’assalto restando chiuso nel fortino e respingendo ogni ipotesi di dimissioni, senza però proporre un concreto rilancio politico, «non solo si è dimostrata non praticabile – ci spiega Sechi – ma addirittura controproducente».



Come dovrebbe muoversi adesso il Pdl?

A mio avviso, l’unica strategia possibile è quella di riaprire il partito. In questo momento il Pdl, che rispetto agli altri schieramenti presenta i problemi più gravi, è un partito chiuso a cui di fatto è negata la partecipazione a persone nuove. E’ un partito che coopta, nomina, ma non apre alla sola vera parola che può davvero rinnovarlo, cioè la competizione. In politica esistono vari strumenti per farlo: i congressi, per esempio, anche se non è quello che consiglierei.



Quale allora?

Senza dubbio le primarie, a mio avviso l’unico strumento possibile. Se c’è un partito che ha bisogno di aprirsi è proprio il Pdl eppure c’è chi afferma che con Berlusconi in campo le primarie non servirebbero. A queste persone voglio dire che tale strumento serve anche e soprattutto nel caso in cui si candidasse Berlusconi.

Come mai?

Perché è vero che Berlusconi le vincerebbe, ma è altrettanto vero che da una corsa organizzata seriamente e davvero per tutti emergerebbero senza dubbio degli interessanti outsider per il futuro. E questo partito ha bisogno come non mai di guardare al futuro, di non avere la testa continuamente rivolta al passato, di trovare al più presto un nuovo gruppo dirigente e di salvare le esperienze buone per cancellare in fretta tutte quelle negative. I partiti sono organismi “viventi”: se vengono lasciati al loro destino, prima o poi muoiono.



Cosa dovrebbe fare Berlusconi dopo queste prime dichiarazioni pubbliche?

Berlusconi deve solamente decidere una volta per tutte di preparare una transizione che porti il Pdl a trasformarsi da partito carismatico, fondato da un leader carismatico, a partito “normale”. Altrimenti non faremo altro che assistere al triste declino di una storia ventennale, gettata al vento nell’ultimo scorcio di questa legislatura, e non penso che un così lungo periodo di berlusconismo meriti questa fine. In tutta la politica italiana è necessario un forte scossone, altrimenti l’antipolitica si mangerà tutto.

Crede che anche nel Lazio potrà emergere seriamente il Movimento 5 Stelle?

Difficile da dire, ma senza dubbio nel Lazio c’è un forte pericolo di astensione e di dispersione del voto. Se poi a presentarsi sono sempre gli stessi, l’ipotesi si fa sempre più concreta. Bisogna rendersi conto che una intera stagione è ormai finita e che a voltare pagina non deve essere un solo partito, ma un intero sistema politico che è chiaramente in crisi. La maggior parte dei nostri politici, sia di centrodestra che di centrosinistra, hanno lavorato nel Paese in questi ultimi vent’anni con risultati francamente negativi, a tratti fallimentari. Per questo credo sia semplicemente ora di cambiare.

Chi vede più favorito nel Lazio?

E’ troppo presto per fare ipotesi, ma è chiaro che il Pdl attualmente è molto “ammaccato” e che attualmente rappresenta il grande sfavorito. Il Pd, attraverso un’alleanza con Udc, potrebbe anche vincere: ma per fare cosa?

Cosa intende?

Nel senso che poi bisogna governare. Abbiamo avuto vent’anni di esperienze politiche che sono state caratterizzate da una vittoria elettorale ma da una successiva sconfitta nella sfida di governo. Eppure è proprio questa la scommessa più importante da vincere, sia a livello locale quanto nazionale. E aggiungo che sulla questione degli enti locali, in particolare delle Regioni, va fatta un’opportuna riflessione di tipo istituzionale.

Vale a dire?

Così come sono, le Regioni non sono utili, anzi, sono centri di spese pazzesche. Con la riforma del titolo V della Costituzione, poi, di fatto gran parte delle spese sono fuori controllo e le Regioni hanno un potere d’interdizione enorme sulle decisioni dello Stato e sull’interesse nazionale, aspetti che assolutamente non competerebbero loro. Per questo a mio avviso bisogna ripensarle fino al punto di azzerarle o quasi: l’Italia è il Paese dei Comuni, non delle Province e delle Regioni, e questi enti intermedi sono solamente mostri giuridici che hanno creato centri di spesi e una burocrazia famelica che purtroppo non sono al servizio del cittadino.

 

(Claudio Perlini)