Facendo leva sullo scandalo dei fondi a disposizione del Consiglio regionale del Lazio, un nuovo attacco diversivo alle autonomie viene ora sferrato dal blocco costituto proprio da quell’insieme di burocrazie centrali parassitarie cui si deve la quasi totalità dello spreco della spesa pubblica italiana. Dopo la carica contro le Province affidata al governo Monti, adesso è la volta della carica contro le Regioni, che senza più coprirsi con alcuna foglia di fico istituzionale tale blocco sta facendo in diretta. Dico “in diretta” non a caso poiché – come è tipico di un blocco di potere le cui componenti “parallele” sono spesso ben più rilevanti di quelle ufficiali – in circostanze del genere le ribalte televisive contano molto di più che non i corridoi dei ministeri.



Sono momenti in cui grandi difensori paralleli del Palazzo romano come Bruno Vespa risultano ben più utili di potenti ma anonimi direttori generali, ovvero di abili ma grigi estensori di circolari e di polpette avvelenate in forma di articoli di legge offerte con mano lesta a ministri e parlamentari inconsapevoli. Dagli studi della Rai, rispetto ai cui sprechi di denaro pubblico quelli del Consiglio regionale del Lazio sono bruscolini, il pifferaio magico Bruno Vespa scende allora in campo a guidare con mano sicura il suo vasto pubblico verso l’indignazione contro le Regioni; e quindi a contrariis verso la nostalgia dei bei tempi in cui i prefetti  governavano i territori facendo saltare in padella sindaci e consigli provinciali.



Si conferma ancora una volta una delle grandi intuizioni di Gianfranco Miglio: la macchina della pubblica amministrazione non è un prodotto della Costituzione, bensì il contrario. Quindi non basta di certo da sola una riforma costituzionale a mandare in soffitta centocinquant’anni di gestione centralizzata del potere (segnalo per inciso a chi volesse saperne di più l’agile ma acuto Dare un volto al potere. Gianfranco Miglio fra scienza e politica di Davide G. Bianchi, recentemente  pubblicato da Mimesis, e le più ponderose Lezioni di politica dello stesso Miglio edite l’anno scorso da il Mulino).



Beninteso gli scandali vanno smascherati, i sospetti colpevoli vanno processati e se riconosciuti tali vanno puniti, i meccanismi istituzionali che funzionano male vanno riformati. Tutto questo però non c’entra nulla con la natura e la funzione delle istituzioni in cui gli scandali hanno avuto luogo. Pertanto ogni volta che da uno scandalo si cerca di prendere spunto per spazzare via un utile livello di governo democratico è giusto allarmarsi e opporsi con tutte le forze. E ciò tanto più in un tempo come il nostro, nel quale la libertà e la democrazia vengono sempre più compresse e qua e là arretrano – non solo in Italia ma prima ancora in sede di Unione europea – sotto la spinta di potenti tendenze neo-autoritarie di matrice tecnocratica.

La crisi finanziaria della Repubblica italiana – che assorbendo oltre la metà del prodotto nazionale lordo ormai soffoca l’economia, blocca la ricerca e sta spegnendo la scuola – è il problema numero uno della nostra vita pubblica. Per venirne fuori occorre fare innanzitutto una scelta di fondo tra due strade che attengono all’antropologia prima ancora che alla politica e all’economia. Si tratta cioè di decidere se puntare sulla responsabilità della persona, e quindi sulla sussidiarietà e sull’autonomia responsabile ritenendo che l’uomo sia sì fragile di fronte al male ma incline al bene; oppure se, ritenendo che l’uomo sia homini lupus, puntare invece sul governo dall’alto di élites di presunti illuminati, e quindi su poteri forti e perciò centralizzati.

Ad là dei modi educati e dei sobri abiti di ottimo taglio che indossano, Mario Monti, i suoi ministri e le forze extra-parlamentari che li sostengono sono di quest’ultima pasta, e si muovono di conseguenza. Di qui una loro obiettiva sintonia con quel blocco di burocrazie e para-burocrazie centrali parassitarie di cui si diceva, la base del cui potere è quel gigantesco meccanismo di distruzione delle risorse pubbliche che consiste nell’esercizio del controllo senza responsabilità; ovvero a prescindere dalle sue conseguenze effettive sulla realtà delle cose.

Sia chiaro, non è questo che i “tecnici” vorrebbero, ma di fatto è ciò che grazie a loro continuerà ad accadere. La realtà delle cose non smetterà ahimé di dimostrare quanto ha sempre dimostrato, ossia che con la centralizzazione e con i controlli centralizzati la spesa pubblica in realtà non si riesce a frenare. Finora tuttavia tutti i governi di ogni orientamento che si sono succeduti a Roma, fino all’attuale pur composto di persone così colte e così bene intenzionate, sono andati a naufragare sui medesimi scogli.

Resta ancora una carta da giocare, quella di un’alleanza di Regioni che dalla parte più avanzata del Paese premano con sforzo concorde sul Palazzo romano per ottenere a partire dal suo esterno ciò che a partire dal suo interno è risultato impossibile ottenere.