Ecco, Priebke ha trovato dei sacerdoti disposti a celebrare le rimandate esequie. Contro il parere del sindaco di Albano, che ha protestato la sua totale estraneità, contro le indicazioni del Vicariato di Roma, si sono aperte le porte della Fraternità san Pio X, dei lefebvriani, che ad Albano hanno la loro casa madre, casa d’accoglienza e di formazione dei loro seminaristi.

Un bel guaio. Non tanto perché uomini di Dio abbiano alfine ceduto alla misericordia, per un uomo centenario la cui storia appartiene al passato. Certo, è un passato che brucia, che non è per fortuna dimenticato; certo, ci sono precise volontà delle gerarchie cui dei religiosi dovrebbero obbedire; e non sono passibili di interpretazioni, né frutto di decisioni estemporanee, non meditate. La Chiesa non concede funerali religiosi a persone che abbiano dato scandalo, e che non si siano pubblicamente pentiti dopo essersi macchiati di gravi colpe. Di più, Priebke non si sa neanche se fosse cristiano, e come dice il magistero, chiunque sia antisemita non può dirsi cristiano. È antisemita chi nega pervicacemente l’Olocausto. 

Pazienza, se perfino un laico dialogante nelle diverse cattedre dei non credenti e cortili vari dei gentili, come Massimo Cacciari, ha sostenuto la prevalenza della pietas, che è legge civile, oltre che religiosa: non si danno i rei in pasto a cani, Antigone dovrebbe insegnarci qualcosa. Non è neppure così strano che nella Chiesa si disattendano il volere e i precetti delle autorità, purtroppo: siamo inondati di dichiarazioni di consacrati di ogni ordine e grado che si peritano di spiegare al papa  cosa è giusto, cosa si deve fare, su tutte le più spinose questioni teologiche, culturali, politiche, etiche. Usano la televisione, le agenzie e i social media per seminare divisioni e fare il gioco del nemico, direbbe Berlicche. 

Ma i lebfevriani, con questa improvvida scelta, segnano un altro punto di non ritorno nella vexata quaestio della loro separazione da Roma. Una distanza che aveva impensierito quel sant’uomo di Benedetto XVI, che proprio per aprire un varco di misericordia ai lebfevriani fu impalato dalla pubblica stampa e opinione. Anche perché appena socchiuse le porte, con la revoca della scomunica, si scatenò un putiferio di reazioni anche tra i più alti prelati, sgomenti, attoniti, di fronte gli attacchi biliosi del portavoce stesso della Fraternità, contro il Concilio, contro i suoi maestri, primo tra tutti quel cardinal Martini che fu definito addirittura “un sovversivo”. Inoltre il giorno stesso della remissione della scomunica, a condizione della piena obbedienza e comunione con Roma, il vescovo Richard Williamson in un’intervista alla televisione svedese negò la Shoah. 

Si scatenò un putiferio, e giustamente la comunità ebraica ricordò la pervicacia delle posizioni dei lefebvriani, che perfino durante la visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma osarono invitare il Pontefice a “non andare da Caifa”. 

Benedetto XVI ha compiuto il gesto più rivoluzionario e inatteso della storia della Chiesa moderna, il sacrificio e il martirio della rinuncia. La vicenda della possibile riunificazione si è bloccata. Resta dunque che la Fraternità san Pio X non ha uno statuto canonico e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero, finché le questioni dottrinali non saranno chiarite. Ora, a parte la provocazione reiterata di avvocato e familiari di Priebke, cui non si dovrebbero dare né peso né eco, questa mossa a sorpresa dei religiosi di Albano mette sale sulla ferita, segna una volontà caparbia di lontananza, non casuale, con un pontificato che già scatena i dubbi o la contrarietà vera e propria di molti tradizionalisti. Bergoglio è un gesuita, Bergoglio, dicono autorevoli commentatori, era amico e ammiratore e vero erede del cardinal Martini, ha la sua stessa idea di Chiesa. Bergoglio si è espresso sbrigativamente sul rito antico, a rischio di strumentalizzazione, di ideologizzazione, Bergoglio apre ai progressisti, non si esprime abbastanza sui temi bioetici…eccetera. 

Bergoglio non è ascoltato, non è letto, non è capito, se non col velo del pregiudizio, come fu per motivi opposti, per Giovanni Paolo e Benedetto. Celebrare i funerali di un nazista, antisemita, contro tutto e tutti, appare allora non come un atto forse improvvido di pietà, ma un voluto sgarbo, un ribadire la propria estraneità a questa reggenza della Chiesa, in nome di una presunta purità e fedeltà. Dio ci salvi dai troppo puri. Da chi spezza e indebolisce, fingendo di sostenere la Chiesa.