Acampada, lambada, parrillada… il suffisso -ada fa pensare a cose piacevoli, chissà perché in spagnolo suona meglio di “bivacco”, termine che ricorda presidi di soldati all’addiaccio, gavette smorte, freddo e scomodità. Un’acampada 2013 a Roma è tutt’altra cosa: tende ultimo modello blu cielo, di quelle che apri con uno scatto e stanno in uno zainetto, il centro fornito di negozi e bar a disposizione, e perfino un’ottobrata climatica da manuale. Si sa, so’ ragazzi, come cantava quel tale, “due amici una chitarra uno spinello…”, e la notte vola via, sai che ricordi, l’importante è stare insieme, vale per un concertone o una protesta di piazza.
Per cosa? Non ha importanza, è il prefisso che conta: no. No Tav, no Moise, no Muos, no Expo, no global, no governo, qualunque esso sia. Ce ne sono da vendere di ragioni per protestare, e si dovrebbe cominciare dal per: per il lavoro, per la casa, per un aiuto a chi ha meno e sta peggio, per. È lo slancio di chi ha vent’anni che permette di osare, a costo di improvvisazione e sventatezza, a costo di non comprendere tutte le ragioni e i calcoli ministeriali, che danno i numeri, ce ne rendiamo conto.
Si può capire, protestare è già il barlume di un desiderio, di esserci, di non essere rassegnati ed eterodiretti. Ma i protagonisti dell’acampada romana si sono sdraiati, sfatti, dopo una giornata non solo di cortei e cori, magari solo quelli: la volontà era l’assedio, l’assalto, l’occupazione, e non sono parole che indicano non violenza. Uova, vernici, bottiglie, pazienza, anche se pagheranno i cittadini, in termini di vivibilità e soldi. Ma le spranghe, le biglie di ferro, le bombe carta, le mazze, le maschere antigas, sono utensili da guerriglia, e gli scontri davanti al ministero dell’Economia hanno svelato da un lato lo scopo di far male, e scatenare la sommossa; dall’altro, le ferma e responsabile riposta delle forze dell’ordine, che non hanno perso la testa, non hanno dato occasione di ritorsioni.
Perché non è successo niente, dicono gli organizzatori della presa di Roma, i messaggi di terrore miravano a far fallire la mobilitazione. La gente invece non ha avuto paura ed è scesa per strada, e promettono, questo è solo l’inizio. I romani dovranno accettare, dopo la chiusura dei Fori, anche quella del Muro Torto, per lasciare Porta Pia in mano ai movimentisti? Il sindaco Marino portava in gita gli studenti ad Auschwitz, che gli si può dire, e del resto i rebels non ce l’hanno con lui, che è stato votato anche dagli stessi partiti che promuovono “partecipazione e riappropriazione”.
I manifestanti mantengono la postazione, la breccia l’hanno già fatta i bersaglieri centocinquant’anni fa, e non bisogna neanche buttar giù i muri. Ci si accanisce casomai sulle vetrine di banche e negozi, che tirano giù le serrande. Due milioni di danni, dicono i commercianti, perché la gente gira alla larga.
Sarà la falsa propaganda governativa, che induce sospetti su questi acampadi così perbene che promettono perfino di ripulire l’area, sarà l’egoismo piccolo borghese, sarà che non si tratta solo di ragazzini. Ci sono nerboruti incappucciati, ex ragazzi coi capelli bianchi che non hanno trovato altra occupazione che manifestare tutta la vita; si danno appuntamento da tutta Europa, e già sibilano vendette per i fermati dalla polizia, generosi compagni venuti d’oltralpe a dar man forte, pacifisti vittime del sistema, solo per qualche arma contundente appresso.
Gli acampadi passano un’altra notte alla luce della luna, perché manco piove. Martedì incontreranno il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, con cui discutere di grandi opere, si direbbe. E di emergenza abitativa, insistono. Vale a dire: stop ai lavori, di qualunque tipo, anche se danno lavoro e ricchezza al paese. Casa e reddito per tutti, invece, come se si trattasse di scambiare le pedine su un gioco da tavola. Lavoro per tutti, che il reddito bisogna sudarselo, bisogna precisare, a costo di essere accusati di connivenza coi palazzi del potere. Al quale tocca far sentire il fiato sul collo, al quale nessuno deve sottomettersi mai, neanche per convenienza, al quale abbiamo il dovere di chiedere, e chiedere in nome della giustizia e della libertà. Ma senza bombe, e senza acampade continue, a questi manifestanti mancherebbe un’occupazione, uno sfogo, un senso per vivere. Sempre che gli eterodiretti non siano proprio loro, a servizio di chi vuole lo sfascio, per sostituire a un potere un altro potere, e farlo proprio.