Al Teatro dell’Opera di Roma è in scena sino al 16 gennaio Il Lago dei Cigni. Come vedremo in seguito non è il consueto spettacolo per le feste sia perché si tratta di un nuovo allestimento sia perché qualche sera l’orchestra è sostituita da un nastro registrato a ragione dello stato d’agitazione– l’unico teatro, pare, che non rispetta la regola secondo cui uno sciopero deve essere annunciato on 24 ore di anticipo e non può avere luogo nel periodo delle Festività. Sfidano il rischio di maximulte.
Quali le cause dell’agitazione dopo quattro anni di calma nella fondazione lirica romana? Il Consiglio d’Amministrazione (CdA) nominato quattro anni fa è scaduto, dopo avere presentato per tre esercizi finanziari bilanci in pareggio (od in leggero attivo). E’ stato rinnovato. Sino a qui tutto normale. O quasi. La Corte dei Conti, però, ha scoperto un ‘buco’ di 23 milioni a cui aggiungerne 7,5 nel preconsuntivo 2013. In breve, dopo il Maggio Musicale Fiorentino (circa 40 milioni di debiti), il Teatro dell’Opera di Roma è la fondazione lirica più inguagliata d’Italia (nonostante l’aumento di capitale – tramite la cessione del Teatro Nazionale – effettuato dalla precedente Amministrazione Comunale). Quindi i Cigni sono in un Lago di Debiti.
Dato che ho fatto parte per un quinquennio del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali ed intrattengo ottimi rapporti con la dirigenza del dicastero, già all’inizio della scorsa primavera (prima dell’insediamento del Governo Letta e le elezioni del nuovo Sindaco) mi era giunta voce di serie difficoltà finanziarie della fondazione. L’ho fatte presente, ma sono stato smentito e rassicurato. Alla conferenza stampa per la presentazione della stagione 2013-2014 (a cui il Sindaco di Roma non ha preso parte) è stato annunciato un quarto esercizio in pareggio per il consuntivo 2013. Difficile comprendere come tra tanti pareggi presentati ed annunciati, si sia finiti in una situazione del genere. Non spetta ad un ‘chroniqueur’ che frequenta assiduamente dall’età di 12 anni (quindi da circa sessant’anni), condurre indagini in materia. Tanto più che le stanno già facendo gli organi preposti e pare siano imminenti ‘azioni di responsabilità’ nei confronti del precedente CdA. Andiamo brevemente al Lago dei Cigni prima di vedere quali sono le prospettive per il Teatro
L’edizione proposta, con la coreografia e le scene di Maurice Bart ,basato, solo in parte, sul lavoro Marius Petipa e Lev Ivanov è un nuovo allestimento che sostituisce quello che si è replicato quasi ogni anno dal 2003 al 2011. Di norma si pensa che ‘Il Lago dei Cigni’ è uno spettacolo per bambini. Invece, pur basato su un’antica fiaba russa, la partitura Petr Ilic Ciajkovskij è ambigua, sensuale e morboso. Il balletto composto quando l’autore, consapevole della propria omosessualità (e di quella di suo fratello), per celarla si sposò. Un matrimonio breve che terminò con il ricovero in manicomio della moglie e innescò la serie di eventi che portarono al suo suicidio (più o meno volontario) nel 1893, proprio mentre “Il Lago dei Cigni” stava gustando il successo meritato. Alcuni elementi di questo dramma si colgono nell’interazione tra il protagonista, il principe Siegfried, ed il suo miglior amico Benno, nonché nella Regina protettiva che fa di tutto per spingere il figlio al matrimonio ma resta desolatamente sola nell’ultimo quadro. In questo allestimento, invece, siamo in un mondo dal cielo grigio: con un abile gioco di luci e di scene dipinte il Palazzo si trasforma in riva (ed anche fondo) del lago. Il marrone domina l’impianto scenico, un marrone limaccioso che indica eloquentemente i contrasti interiori del compositore.
Molto bravi i quattro protagonisti: Anna Tsyganova, Mikhail Kaniskin, Gaia Straccamore, Manuel Parruccini. Efficaci i numerosissimi ruoli minori e il corpo di ballo. Lo spettacolo piace. Impeccabile la bacchetta di Andriy Yurkevich. La sua bacchetta pare impeccabile, tranne qualche tono bandistico all’inizio della seconda parte e diligente. Ha, però, fatto emergere bene la triade “Si bemolle-Re-Fa”, associata alle forze del male, e la triade “Si-Fa diesis-Do diesis”, associata, invece, al tema della morte e resurrezione, dando loro il macero e morboso che meglio avrebbe rispecchiato il dramma di una partitura che rispecchia una tragedia interiore.
L’edizione del Lago dei Cigni nel Lago dei Debiti, induce ad alcune considerazioni per il lungo periodo.
In primo luogo, il corpo di ballo e le étoiles del Teatro dell’Opera hanno un costo di 10 milioni l’anno (sui circa 50 totali). Attualmente, presentano tre ‘grandi’ balletti l’anno (due nella stagione invernale ed uno in estate alle Terme di Caracalla) ed una serie di piccoli spettacoli. Dato che una domanda per questo tipo di spettacolo dal vivo c’è (come mostrato dal pullulare di compagnie private, ospitate a Roma in tre teatri), e dato che le fondazioni liriche di Napoli, Palermo, Firenze sono rimaste con tronconi di corpo di ballo (ed altre non ne hanno punto), non è caso di pensare ad un Balletto Nazionale , scorporato dal Teatro dell’Opera ma che operi oltre che a Roma in tutta Italia (come il Royal Ballet britannico e l’American Ballet americano) servendo altri teatri?
In secondo luogo, tenendo presente i disagi fisici dell’attuale sede principale, e non potendosi certo pensare alla costruzione di uno nuovo, non si dovrebbe pensare, per aumentare la produttività, di aumentare le produzioni di repertorio con scene dipinte o proiettate (non costruite) come fanno gran parte dei teatri tedeschi, francesi ed americani?
In terzo luogo, dati i costi delle nuove produzioni – ci si accinge a presentare per soltanto sei sere un nuovo allestimento di Manon Lescaut che, a quel che si sa, non andrà in altri teatri- perché non adottare la prassi, ad esempio del Metropolitan di New York, che nuovi allestimenti possono essere concepiti unicamente se almeno altri tre teatri ne dividono le spese?
In quarto luogo, in quante opere è necessario un coro di 85 cantanti (ed uno di voci bianche) ed un’orchestra di oltre 90 elementi? Sono organici che non hanno i due maggiori teatri di Berlino (che offrono ciascuno almeno cinque recite la settimana, non sei-dieci al mese). Non si tratta di licenziare nessuno, ma di tenere la barra ferma sul blocco al turnover per alcuni anni sino a giungere a dimensioni più ragionevoli.
In quinto luogo, perché non aprire il Teatro alla commedia musicale e se del caso pure ai concerti pop e rock per farlo conoscere alle nuove generazioni? Perché non attuare, come il Regio di Torino ed altri teatri, una last minute policy ? Meglio vendere biglietti a 15 euro ciascuno che vedere file vuote.
Queste non sono che poche idee. Molte altre ce ne vorranno per giungere a risultati adeguati.