Benedetto Magno. Quando si consuma una giornata del genere bisogna trovare subito la cifra per consegnarla alla storia. Ed è “grandezza”. Alle 11.48 dell’11 febbraio, memoria liturgica della Madonna di Lourdes, la bravissima collega Giovanna Chirri spediva al desk dell’Ansa quello che le reminiscenze del latino liceale le avevano fatto intuire essere la notizia del giorno, sicuramente dell’anno, forse addirittura del secolo: Benedetto XVI dava la sue dimissioni.
Di fronte a gran parte del collegio cardinalizio, arrivato a Roma per un tranquillo concistoro di canonizzazioni, sonnecchioso nel valutare la santità di martiri di un tempo tanto lontano da sembrare perduto, l’umile operaio della vigna, il pastore tedesco che aveva tanto spaventato i progressisti di tutte le stagioni, piazzava uno di quei colpi a sorpresa che lasciano tramortiti. Il Papa non ha più la forza per fare il Papa. E quindi smette di fare il Papa. Rinuncia al ministero di Vescovo di Roma, Successore di Pietro affidatogli dai cardinali il 19 aprile del 2005. Fissa data ed ora. Dalle 20.00 del 28 febbraio la Sede di Pietro sarà vacante. Tiè. Eccoti servito di che parlare e sparlare per i prossimi 50 anni di ecclesiologia.
Lo shock, l’incredulità, lo smarrimento e poi l’analisi dettagliata di quelle 22 righe di latino purissimo in cui Joseph Ratzinger mostra tutta la sua incredibile forza intellettuale e morale. Magno perché coraggioso. Magno perché lucido. Magno perché rivoluzionario. Magno perché profondamente, intimamente, totalmente libero. Ecco signori un uomo cristiano. Ci sarà da dire e da sproloquiare, per la verità qualcuno ha già inziato a farlo, ma quello che la Chiesa ha vissuto nelle ultime 24 ore è uno degli eventi più drammatici della sua lunghissima storia.
Il dramma implica sempre una dinamica di libertà. C’è una tensione in quello che è avvenuto nella sala del concistoro che difficilmente potrà essere spazzata via dalle analisi monche dei vaticanisti o dai commenti interessati dei tanti invidiosi del Vangelo. Il Papa ha scelto. Ha esaminato la sua coscienza davanti a Dio. È pervenuto ad una certezza, l’ennesima della sua lunga vita. E ha agito di conseguenza. Con un coraggio unico e inedito. Perché per quanto ci si affanni a rintracciare precedenti, siamo lontani anni luce dal “gran rifiuto” di Celestino V, come dai pochi abbandoni dei primi secoli. Qui abbiamo a che fare con un teologo finissimo che ha impresso un’accelerazione alla Chiesa, giocando d’anticipo con la morte e forse addirittura con il grande nemico, per compiere uno dei passi più sconvolgenti che un uomo possa fare.
Non c’è rinuncia. Ne resa. Solo lo scarto di una mossa a sorpresa. Solo un uomo che non ha paura di nulla, neanche del buio del suo cuore, poteva azzardare tanto. Uno che, lo abbiamo imparato in questi anni vissuti con lui, annuncia gioisamente il suo amore per Cristo, sereno affronta le tempeste, guida sicuro la barca perché al timone sa di non essere solo. Niente di più lontano dal papa depresso, stanco e isolato di Morettiana memoria. Bastava ascoltarlo nel suo latino teutonico mentre spiegava, con il consueto rigore, le ragioni del suo atto di libertà al cenacolo apostolico. Grave eppure straodinariamente calmo, con un’emozione trattenuta che appartiene solo a chi è convinto di fare la cosa giusta, per un bene più grande, con una letizia appagante.
Non scende dalla Croce, anzi. Si espone, con tutta la vulnerabilità degli anni, all’incomprensione, ai dubbi, al sarcasmo, persino al dileggio. Accetta il giudizio di chi non riconosce il limite umano come prova per il cuore. Affronta il martirio di Nazareth, il nascondimento, la polverizzazione dell’Io nel tutto di Dio, consumandosi di preghiera e separazione, nell’attesa dell’incontro definitivo con il suo Cristo. Ratzinger non è uomo da cedere alla tentazione titanica, la sua umiltà non glielo consente. Non trascina la Chiesa con la debolezza del corpo, ma con il vigore della coscienza. Scommette su ciascuno di noi. Sulla maturità che sapremo trovare. Non va in pensione. È stato pontefice, è ancora Papa, lo sarà per Grazia fino all’ultimo dei suoi respiri. Ma in maniera diversa. La libertà assoluta del suo essere è quanto di più grande lascia alla Chiesa. Grazie.