Nero. Nero che più nero non si può. Alle 19:41, con un po’ di anticipo rispetto alle previsioni, il comignolo issato sul tetto della Sistina ha iniziato a sbuffare e la piazza palpitante di ombrelli, giacconi e sciarpe umide si è afflosciata di colpo, come un soufflè al primo colpo di forchetta. La delusione è stata persino sonora, un nooo prolungato che ha riempito i bracci forati, insinuandosi tra le colonne di marmo per contagiare la città buia e lavata di pioggia. Niente da fare. E non importa che fosse tutto ampiamente prevedibile, che negli ultimi cento anni nessun candidato ce l’abbia fatta al primo colpo, che bisognasse dare il tempo allo Spirito di studiarli i cardinali, per scegliere quello che fa al caso. Il colpo si avverte lo stesso. L’ultimo atto, nero come la pece, della giornata ha siglato un’attesa lunga ore, scandita da cerimonie, liturgie e riti antichi, fascinosi nella loro simbolicità e splendidi per ambientazione.
Il fumo della negazione, ha semplicemente introdotto il tempo del travaglio, quell’alternanza di spinte e abbandoni che ingannano chi vuole solo sentire il vagito del bambino. D’ora in poi, e speriamo per poco, sarà così: il sollevarsi silenzioso della piazza, milioni di occhi appesi ai tetti, i minuti che si dilatano e poi una fumata che fa ripiombare sulla terra, per tornare ad attendere ancora. Eppure la mattinata era iniziata in altro modo. Con la perfezione della Missa pro eligendo Romano Pontifice: l’intero collegio cardinalizio schierato con sfarzo nella Basilica Vaticana, l’incredibile bellezza della musica di Palestrina, la sontuosità dei marmi e dell’oro, e il contorno del popolo di Dio che aveva sfidato grandine e freddo per sostenere i Principi della Chiesa, nel giorno di apertura del conclave. A presiedere il Cardinale Decano, un ultraottantenne concentrato sulla liturgia, che ha offerto ai confratelli elettori, due tre pensieri su cui meditare prima di passare all’azione. Letture bellissime, Isaia, Paolo e il Vangelo di Giovanni, da cui il card. Sodano ha tratto una serie di indicazioni, più una premessa determinante: le porte degli inferi non prevarranno. Non di poco conto, nel momento indeterminato che la Chiesa vive. Una Chiesa che continua ad annunciare un messaggio di amore, ha ricordato il Decano, quella misericordia biblica che abbraccia ogni sofferenza e fragilità, ogni ingiustizia e povertà. Ma anche una Chiesa che deve tendere all’unità, nella cooperazione di tutte le sue parti fino a dare la vita per i propri amici. Carità, unità e servizio, le doti per il Pastore che le piazze del mondo attendono.
Hanno avuto modo di rifletterci su i porporati, prima di fare il loro ingresso nella Cappella Sistina, alle 16,30 del pomeriggio, vorticosamente proiettati nella storia. 115 uomini, gravi in volto, incolonnati secondo l’ordine di appartenenza, in processione dietro la Croce. Una regia sapiente che ha enfatizzato la liturgia impreziosita dal latino, la rigorosità dell’evento, il progressivo allontanemento dal mondo, con i dipinti cinquecenteschi che scivolavano ai lati della fila bianco/rossa, gli scorci improvvisi della policromia michelangiolesca, i primi piani severi, e la consolante nenia delle invocazioni ai Santi. Un rito lento e cadenzato, che ha portato i cardinali dalla cappella Paolina, attraverso la Sala Regia, fino alla soglia della Sistina, per essere afferrati dalla visione del Giudizio Universale. Non so se al mondo esista un’altra istituzione in grado di far percepire in maniera fisica la sua autorità solo, ed esclusivamente, attraverso la bellezza di un atto sacro.



Certo le immagini donate dal Centro Televisivo Vaticano hanno permesso a chiunque di avvertire il momento in cui i cardinali sono stati catturati dalla responsabilità, in cui il loro tempo è stato “informato” dallo Spirito. Già lo Spirito, il protagonista assoluto di ciò che avviene tra quelle mura.
Lo abbiamo sentito invocare, dalle porpore schierate intorno a tavoli apparecchiati da pochi essenziali strumenti: il libro per pregare, le norme per l’elezione stabilite dai Papi precedenti e l’Ordo Ritum Conclavis. Con il centro gravitazionale dell’intero spazio aperto in mezzo alla sala, quelle pagine di Vangelo su cui ciascuno dei 115 elettori ha giurato di essere libero, vero e pronto. Abbiamo visto il crescendo di intensità, il vertiginoso susseguirsi di infilate di berrette, sprazzi di affreschi e dettagli emotivi. 
Una perfezione stilistica che neanche il vecchio e malato Card. Dias ha voluto minare, lasciando la sedia a rotelle per ergersi in tutta la dignità cardinalizia al suo turno di poggiare la mano destra sul Vangelo. E infine l’Extra Omnes, quasi sussurrato, più che imposto, da mons. Marini. Quelle porte chiuse e l’inzio del tempo dello Spirito. Che, il nero fuori dal comignolo lo certifica, non è ancora compiuto.

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