Uno sguardo distratto allo schermo del pc e vedo don Lino che cammina sottobraccio al Papa, insieme ad un suo amico sacerdote, don Gonzalo Aemilius. Parlano un po’, poi entrano nel portone della chiesa. Tutti e tre, uno dopo l‘altro. Non è possibile. Blocco il video e lo faccio ripartire perché non sono certa di aver visto bene. Le immagini mi si srotolano davanti agli occhi un‘altra volta, identiche e incredibili. E io che gli avevo detto, qualche minuto prima: “prova, ma le probabilità sono poche; e poi Sant’Anna è così piccola…!” La parrocchia del Vaticano, subito a destra dopo la porta di Sant’Anna, avvolta dai ponteggi ma tirata a lucido nonostante i lavori in corso, è davvero piccola, ma la tenacia premia sempre. A condizione che intervenga anche la Provvidenza, ovviamente.



Cominciamo da capo, con ordine, seguendo il criterio delle cinque w – chi, che cosa, quando, dove, perché – per dare forma di notizia a un piccolo episodio vissuto in prima persona a margine dei festeggiamenti di questi giorni, che dimostra come la Chiesa sia davvero sempre larger than life. E superi, sistematicamente (e nelle occasioni più disparate) ogni nostra aspettativa. Il botta e risposta via sms inizia domenica 17 marzo alle 8 e 41: “Ciao ti chiamavo per sapere come avere l’invito per entrare a Sant’Anna” mi scrive Pasqualino di Dio, un giovane sacerdote conosciuto a Gela qualche anno fa, sapendo che lavoro a L’Osservatore Romano. Chissà che non riesca a suggerirmi una scorciatoia, o un itinerario alternativo per addetti ai lavori, ha pensato don Lino, consapevole di avere ben poco tempo a disposizione, visto che la messa era fissata per le 10 di mattina. “Temo che non ci sia materialmente posto – gli rispondo – la conosco bene, Sant’Anna, vado spesso alla messa delle 18 e 30 dopo il lavoro, è piuttosto piccola. L’iter classico è chiedere alla Prefettura della Casa Pontificia ma serve un minimo di preavviso, all’ultimo momento è impossibile, nel sito internet c’è solo un numero di fax. Prova a chiedere a un gendarme, qualche volta funziona, per i sacerdoti hanno un occhio di riguardo” scrivo cercando di sembrare ottimista, ma con poca convinzione. “Oggi non ha funzionato – mi risponde infatti sconsolato di lì a pochi minuti, alle 9 e 18 – c’è bisogno di uno speciale biglietto. Grazie di cuore x la tua disponibilità”.”Non sono in zona altrimenti avrei fatto un tentativo anch’io” rispondo. Ma non è vero, non credo che avrei provato a superare le transenne: l’idea di essere di intralcio al servizio d’ordine e, soprattutto, ai colleghi fotografi o ai cameraman del Ctv mi avrebbe fatto desistere. E poi ci lavoro, in Vaticano; meglio dare la precedenza a chi arriva dall’altro capo del mondo, come gli argentini con il termos del mate sottobraccio e le bandiere biancoazzurre che hanno invaso via della Conciliazione. Penso alla delusione di don Lino, ai tanti chilometri che lo separano dalla chiesa del Carmine (la ricordo in grande spolvero, piena di luci e strapiena di gente durante una festa di mezza estate), la chiesa in cui è viceparroco, dove ritornerà, tra qualche giorno, senza molto da raccontare che i suoi parrocchiani non abbiano già visto in tv, a parte qualche scorcio di maxischermo, qualche foto nel cellulare e un foglio di quaderno (digitale o meno) pieno di appunti utili per le prossime omelie. Io, da dove sono, non posso fare nulla, assolutamente nulla per rendere speciale la sua giornata romana.



Come dice Raymond Carver in Distress sale, “Mi frugo in tasca, il portafogli, ed è così che me ne rendo conto:/ non posso aiutare nessuno”. La citazione, saccheggiata da una testimonianza di Nicola Ruisi, della Fraternità sacerdotale san Carlo Borromeo, descrive bene il senso di impotenza che si prova davanti all’abisso del bisogno umano, proprio e altrui; nei casi in cui ci si scontra con il dolore e la malattia, come anche davanti al naturale, legittimo, “normale” desiderio di far contente le persone a cui si vuole bene. Mi frugo in tasca (fuori di metafora, scorro la rubrica del telefono) e mi accorgo che, davvero, non posso aiutare nessuno. Ma l’imprevisto (la “sola speranza” della celeberrima poesia di Montale “Prima del viaggio”), irrompe ed apre un varco nella rete del prevedibile. Passo la parola direttamente a don Lino: «Un incontro straordinario – racconta con gli occhi lucidi e la voce che trema ancora un po’ – mi trovavo con il mio amico don Aemilius, sacerdote argentino che lavora in Uruguay con i bambini poveri, bloccati davanti alla barriere perché non avevamo i pass per entrare in chiesa, ma Papa Francesco quando ci ha visti ci ha fatto subito chiamare: “voi dovete stare in chiesa a pregare con me e per me”. Poi ha continuato a scherzare e ci ha condotti in chiesa. La Chiesa, come una madre, ci conduce; l’ho visto ancora una volta».



Il Papa rompendo il cerimoniale ha salutato dopo la sua prima celebrazione pubblica molte persone. “Anche il vescovo, monsignor Michele Pennisi. Dopo la Messa – continua don Lino – ho chiesto al Papa di pregare per i miei cari, la parrocchia del Carmine, i gruppi della Divina Misericordia di Sicilia, per la nostra diocesi. Mi ha chiesto dove si trovasse, poi scherzando mi ha detto: “E’ molto bella e si mangia bene”. Papa Francesco è un uomo di Dio, una persona molto umile ma determinata». Un imprevisto simile ha segnato anche la vita di don Gonzalo: una telefonata inattesa nel giorno del suo 22esimo compleanno. “Quando mi dissero che mi cercava al telefono il cardinale Bergoglio pensai allo scherzo di un amico – racconta don Aemilius a Mario Ponzi de L’Osservatore Romano – l’arcivescovo di Buenos Aires non mi conosceva e dunque come avrebbe potuto telefonare a me per farmi gli auguri? E anche quando stavo scambiando con lui le prime parole mi era difficile crederci. Dovette faticare per convincermi. Poi però quando mi resi conto che era lui veramente, capii anche che in quel momento stava cambiando la mia vita”. Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, aveva detto il Papa durante l’omelia di domenica, perché è un abisso incomprensibile. “Proprio così – scrive don Lino via sms a fine giornata – il Signore ci sorprende sempre”.

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