Effetto Bergoglio. Il Dalai Lama comunica al mondo che Papa Francesco è molto intelligente e vorrebbe incontrarlo. Il San Lorenzo de Almagro, club di calcio di Buenos Aires, si presenta in piazza San Pietro con tutti gli atleti, per salutare il tesserato più importante, il pontefice, e in cambio ottiene una speciale benedizione per scalare la classifica di campionato. Solerti giornalisti ci informano che ad uno dei bambini passati acrobaticamente dagli uomini della gendarmeria al Papa per il bacio pontificio è caduto il ciuccio e che Francesco, incredibile, glielo ha rinfilato, stoppando con una mossa a sorpresa, e audace, il pianto irrefrenabile e drammatico del piccolo.
Pubblicata la foto di Bergoglio nella cappella di Santa Marta mentre seduto, a dire il vero un po’ scomposto, prega insieme ai dipendenti pontifici dopo la messa, con il suo vestito bianco che spicca ai lati dei banchi riempiti da impiegati in completo blu. Didascalia: il posto del Papa. E ancora “ha salutato in spagnolo!!!!!” dove i punti esclamativi dovrebbero enfatizzare il miracolo senza precedenti di un pontefice latino-americano che usa la lingua materna. Ma dico siamo impazziti? Sì. Francesco provoca delirio. Tra un po’ ci saranno anche le avvertenze accanto alle foto o ai video della di lui persona: “Attenzione può nuocere gravemente al vostro equilibrio secolarizzato“. “Sconsigliato in particolare agli agnostici e ai non credenti di ogni risma”. Sì, insomma, qualcosa può far sorridere ma è indubbio che la valanga di simpatia argentina abbia riempito confessionali e chiese.
L’insistenza sul Dio Misericordioso ha smosso qualche cuore intiepidito o addirittura congelato l’attrazione per la francescana postura e la semplicità oratoria ha rimesso in gioco qualche anima, e poi si sa il nuovo è sempre fascinoso. Ma vogliamo ricordarci che è un pontefice? E che insieme ad un magistero dei gesti ne esiste anche uno delle parole? Non vorrei che colpiti dalle immagini con il faccione sorridente e il pollice alzato si prendesse sotto gamba quello che questo sant’uomo va dicendo.
Prendiamo l’ultima catechesi: ragazzi, pare abbia detto ai 60mila di piazza San Pietro, “vorrei riflettere sulla portata salvifica della Resurrezione di Gesù”. E con una logica elementare ed inoppugnabile, che scommetto avrà provocato un serio turbamento al Dalai Lama, ha spiegato che “la nostra fede si fonda sulla Morte e Risurrezione di Cristo, proprio come una casa poggia sulle fondamenta: se cedono queste, crolla tutta la casa.” E poi ”sulla croce, Gesù ha offerto se stesso prendendo su di sé i nostri peccati e scendendo nell’abisso della morte”, la sua Risurrezione “apre la strada per rinascere a una vita nuova”.
E non è finita qui. Insieme all’apostolo Pietro afferma che il “qualcosa di assolutamente nuovo” è la liberazione dalla schiavitù del peccato e il fatto che diventiamo figli di Dio ci autorizza a chiamarlo Abbà, Padre. Abbà! che significa “papà”. Traduzione espressa del poliglotta Francesco. “Così è il nostro Dio: è un papà per noi”. E Dio ci tratta da figli, ci comprende, ci perdona, ci abbraccia, ci ama anche quando sbagliamo.
Già nell’Antico Testamento, continua Papa Bergoglio, il profeta Isaia affermava che se anche una madre si dimenticasse del figlio, Dio non si dimentica mai dell’uomo, in nessun momento (cfr 49,15). Chiosa finale: “E questo è bello!”. Sono certa che la consequenzialità del ragionamento di Francesco potrebbe mandare in crisi più d’uno degli entusiasti teorizzatori della rivoluzione ecclesiale operata con l’elezione dell’argentino. Sempre che venga presa sul serio. Non lasciamoci ingannare, questo Papa non è meno esigente del precedente, parla di Misericordia ma sa che occorre la libertà umana per accoglierla. E non fa sconti. “Noi possiamo vivere da figli! E questa è la nostra dignità – noi abbiamo la dignità di figli -. Comportarci come veri figli!” ha urlato questa mattina con il suo fiato smozzato. Questo vuol dire che ogni giorno dobbiamo lasciare che Cristo ci trasformi e ci renda come Lui, vuol dire cercare di vivere da cristiani, seguirlo, anche se vediamo i nostri limiti e le nostre debolezze, superando la tentazione di metterlo da parte come qualcosa di superato. E poi il colpo di genio. Essere cristiani “non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato”. Siamo disposti a fare questo? Ad alzare lo sguardo da “ un mondo spento” per volgerlo a Dio? Se sì, pollice alzato.