A Roma torna in prima pagina la questione dell’antisemitismo e lo fa attraverso la scuola, a causa di una insegnante che nel Liceo Caravillani di Roma si è permessa di minacciare una studentessa ebrea disattenta per un malore, dicendole che ad Auschwitz non lo avrebbe potuto fare perché in quel luogo regnava l’ordine, cosa del tutto assente nella scuola italiana.
La polemica che si è scatenata su questo episodio di cronaca è relativa al problema dell’antisemitismo e non ci vuole molto inchiostro né molta giurisprudenza per scrivere la sentenza senza appello: l’insegnante ha sbagliato, la sua è un’affermazione del tutto fuori luogo e segno di una mentalità che si nutre di un pregiudizio razzistico che non ha diritto di stare dentro un’aula scolastica, nemmeno come oggetto di ironia o di battuta sagace. Che una insegnante con questa mentalità salga in cattedra non fa onore ad una scuola che dovrebbe essere improntata ad una logica interculturale e di integrazione.
Detto questo la questione potrebbe sembrare chiusa ma in realtà non lo è, perché che un docente esprima nostalgia di come si viveva ad Auschwitz ha certo una valenza antisemita, ma non è riducibile a questo. Vi è una questione molto più ampia dell’antisemitismo ed è l’illusione che Auschwitz possa essere la soluzione del problema della scuola italiana. Uscendo dall’immagine di Auschwitz, la questione che ha voluto porre l’insegnante romana è quella di una scuola in cui si deve ripristinare l’ordine. Ed è qui che sta la questione vera e grave dell’affermazione fatta, ancor più grave dell’antisemitismo perché in questo modo l’insegnante considera gli studenti come esseri indegni di libertà e da riportare nell’ordine precostituito.
All’insegnante romana una risposta la si deve, ma è più ampia della condanna del suo antisemitismo: è la risposta a chiunque creda che il problema della scuola sia l’ordine! Non dell’ordine ha bisogno la scuola, anche perché non è il disordine il problema della scuola: è invece che vi sia qualcosa che interessi, che si accenda una passione ideale, che vi sia una mossa che implichi totalmente l’io. Di fatto questa insegnante più che di Auschwitz è nostalgica della scuola dell’ordine e delle regole, il che è peggio. La questione vera che sta anche in questa battuta fuori luogo, la questione educativa, è che si lavori per costruire un luogo dove la persona non sia obbligata a vivere ma sia sfidata secondo la misura della libertà.
Occorre il coraggio di dire che non è sufficiente dire di no ad Auschwitz, anzi è semplice condannare Auschwitz, e tutti lo fanno − e infatti anche la prof in questione ha riconosciuto di aver sbagliato. Ci vuole di più. Infatti dire di aver sbagliato su Auschwitz ma non prendere le distanze dalla scuola delle regole, non serve a nulla: vorrà dire far di tutto per costruire una scuola che funziona come Auschwitz, cioè privando l’essere umano della libertà. Viene in mente una frase di Saint Exupéry che diceva: “Ci hanno tagliato le braccia e le gambe e poi ci hanno lasciati liberi di camminare”.
La questione della scuola oggi è l’illusione di risolvere tutto con l’ordine delle regole e delle circolari, come se un percorso scolastico fosse garantito dal fatto che sono stati messi i paletti per lanciarsi nello slalom. Ma così anche la tolleranza, anche la condanna dell’antisemitismo possono diventare un meccanismo e non smuovere nulla in noi. La verità è che per vincere lo slalom bisogna prendere il coraggio di lanciarsi, bisogna fare la scelta di gareggiare. Abbiamo tutti bisogno di quel fattore in più che renda gustosa la vita, e questo fattore in più si chiama libertà.