Josef Ratzinger, papa dimissionario e poi papa emerito, torna a Roma. Torna dentro le mura vaticane, il giorno 2 maggio. Si sapeva sin dall’inizio che una volta terminati i lavori di sistemazione del piccolo monastero di clausura sarebbe stato così. Sta di fatto che da giovedì ci saranno due papi in Vaticano, a poca distanza uno dall’altro. Che cosa significa tutto questo? Una inedita conduzione della Chiesa? Per Marina Ricci, vaticanista, intervistata da ilsussidiario.net significa una cosa sola: il rendersi evidente del miracolo di una amicizia, quella tra Josef Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio. “Adesso per Francesco sarà più comodo conversare con Benedetto”. Secondo Marina Ricci, “siamo davanti a un percorso nuovo della vita della Chiesa, sono saltate tutte le categorie precedenti. Il confronto adesso è direttamente con la fede che ognuno di noi ha di Gesù Cristo”.
Avremo presto due pontefici che vivono a poca distanza uno dall’altro: come giudica questo avvenimento?
Non lo giudico assolutamente in modo negativo. Lo giudico invece in modo molto positivo.
Perché? Che significato ha questa convivenza per la vita della Chiesa?
Innanzitutto Francesco potrà più comodamente conversare con Ratzinger, dato che mi è stato riferito che già si siano telefonati spesso in questo periodo. La radice secondo me di quello che accadrà in futuro è nell’incontro che hanno avuto a Castel Gandolfo. Vedo quanto sta per accadere in modo sereno e senza preoccupazioni. Non siamo in epoche passate, quando abbiamo avuto papi che erano stati deposti oppure la presenza di un anti-papa. Non siamo cioè in situazione di conflitto, ma di fronte al miracolo di una amicizia.
Ci spieghi cosa intende per “miracolo di una amicizia”. E’ una amicizia tra due pontefici, non una amicizia qualunque.
E’ un fatto che significa un cambiamento nella storia della Chiesa. Personalmente sostengo che abbiamo assistito senza accorgercene a una riforma del papato che è cominciata con Giovanni Paolo II. Qualcuno dice addirittura con Albino Luciani. Fatto sta che progressivamente la figura del pontefice si è andata spogliando di tutti gli orpelli di una sacralità malintesa e avvicinando sempre di più a Pietro, l’apostolo di Galilea. L’unica ricchezza che aveva era l’incontro, anche tormentato, con Gesù Cristo. Era uno che lo aveva tradito. Non gli restava che affidarsi totalmente alla misericordia di Dio.
Dunque la vita della Chiesa è cambiata, o sta comunque cambiando.
Io credo che questo cambiamento ci sia stato senza che ci fosse del tutto chiaro. Vedevamo Giovanni Paolo II non rispettare il protocollo, poi tutti abbiamo fatto un salto sulla sedia perché si è dimesso Benedetto, quindi abbiamo commentato con sorpresa il fatto che l’appartamento papale rimanesse vuoto. Credo che questa riforma del papato, per cui non ci sarebbe stato Francesco senza Benedetto e Benedetto senza Giovanni Paolo, sia l’inizio di un cambiamento della Chiesa inaspettato, forse anche molto profondo, che noi europei facciamo fatica ad accettare.
Perché “noi europei”? Cosa intende?
Noi europei siamo radicati nelle diatribe intellettuali sul pre e sul post-concilio. Mentre rimanevamo ingessati in queste discussioni non ci siamo accorti che in altri punti della terra la Chiesa stava trovando delle vie nuove, come ad esempio accadeva a Buenos Aires con Jorge Mario Bergoglio. Non ci siamo accorti che questi papi ci stavano già indicando una via differente. Forse adesso siamo davanti a una stagione veramente nuova, e come sempre in questi casi spesso siamo riottosi.
Di fatto c’è chi, tra i fedeli e tra le gerarchie ecclesiastiche davanti a questo Papa, appare ancora legato a categorie: i conservatori e i progressisti. Non crede ci sia il rischio di divisioni, polemiche?
Il rischio è già in atto. La novità grande è che questo percorso dice una cosa: sono saltate tutte le categorie. Uno può ancora considerarsi conservatore o progressista, ma sono categorie che hanno fatto il loro tempo. Attenzione: non nel senso che la tradizione viene buttata via o che hanno vinto i progressisti, quelli che si inginocchiano davanti alla cultura del nostro tempo. Non ha vinto nessuno: ha vinto semmai Gesù Cristo, come sempre, ed è importante che questa cosa così nuova e difficile da capire non sia un’occasione persa per chi preferisce rimanere ingessato in quelle due categorie che si diceva.
E’ cominciato dunque un momento storico nuovo, un cammino nuovo per la Chiesa?
Il concilio c’è stato tanti anni fa. Ha prodotto cose positive e negative, forse il suo frutto migliore, adesso, è che ci troviamo di fronte a una situazione in cui le nostre categorie mentali saltano. Il punto ora è la fede che ognuno di noi ha di Gesù Cristo. Non mi pare che Francesco sia un conservatore, anzi è un grande innovatore, ma non al modo di chi era progressista negli anni 70, definizione questa sulla quale nella Chiesa ci si è scannati. Lo reputo un uomo innamorato di Gesù, la cui vita è stata cambiata da Gesù e che non è cambiato per il fatto di essere stato eletto papa. In termini estremamente comprensibili sta dicendo quello che disperatamente Benedetto cercava di dire continuamente e prima di lui Giovanni Paolo II.
Il fatto che sin dal primo momento Bergoglio si sia definito Vescovo di Roma, è forse un modo di dire che papa rimane ancora Benedetto?
Anche Bendetto all’inizio sembrava che dicesse che il papa fosse ancora Giovanni Paolo. Si rivolgeva al papa che era in cielo e sembrava convinto che il papa fosse ancora lui. Non credo che il problema stia nel fatto che il papa sia ancora vivo. Francesco non vuole dare l’immagine di chi dà una mazzata definitiva al papato – pensiamo ad esempio al suo rapporto con i paramenti della liturgia, o ad altri aspetti che fanno dire a molti che il suo sarebbe un attentato al papato. Non lo credo davvero. Credo invece che sia l’inzio di una strada difficile, ma che può portare a un rinnovamento grandioso.
(Paolo Vites)