Non è un caso che le campagne elettorali dei quattro principali candidati al Campidoglio (Gianni Alemanno, Ignazio Marino, Marcello De Vito e Alfio Marchini) si siano concluse nel peggiore dei modi, con le piazze semideserte. La disaffezione dei cittadini alla politica è conclamata. Abbiamo chiesto a Peppino Caldarola, giornalista e analista politico, quali saranno le ripercussioni sul piano nazionale della amministrative romane del 26 e del 27 maggio.
Pare che i candidati non hanno scaldato gli animi.
Queste elezioni non sono state appassionanti. I romani se ne sono tenuti distanti. Non so se questo si tradurrà in astensionismo. Quel che è certo è che i candidati non sono riusciti a suscitare emozioni.
Le quattro piazze erano vuote. Perché?
La disaffezione nei confronti della politica ha investito i partiti impegnati nel governo Letta, ma anche il movimento che si oppone, l’M5S. C’è una caduta di interesse che nasce dalla constatazione del fatto che pare non esserci modo di trovare una via d’uscita dalla crisi. Le elezioni di Roma rappresentano la cartina di tornasole di un’Italia che inizia a perdere la speranza. La politica, del resto, negli ultimi mesi non ha dato grande prova di sé mentre l’antipolitica, con l’M5S, si è trasformata in una sorta di iper-partito che mira a controllare tutto ma, in fondo, bada solo a se stesso e alla polemiche contro le altre forze. I vecchi partiti non godono di fiducia e i nuovi deludono.
Lo stesso sentimento anima le amministrative nel reso d’Italia?
Direi proprio di sì. Dobbiamo renderci conto che siamo in una situazione drammatica, dipinta efficacemente dal presidente di Confindustria. Le stesse parola sull’Italia sull’orlo del baratro, se pronunciate sei mesi fa sarebbero apparse allarmistiche, oggi si ritengono, semplicemente, vere.
La vittoria del Pd, inizialmente, pareva scontata. Oggi, invece, Alemanno è pienamente in corsa. Perché?
Alemanno non ha avuto particolare successo come sindaco: vinse inaspettatamente, e non era preparato a governare; non ha mai amato particolarmente la Città, preferendole la politica nazionale; è stato identificato, infine, con il fenomeno di Parentopoli. Se non ci fosse stata la crisi della giunta Polverini, il malcontento si sarebbe potuto coagulare attorno a Zingaretti che, tuttavia, è andato alla Regione. A quel punto, i candidati rimanenti del Pd sono apparsi piuttosto scoloriti. Marino, indubbiamente, è preparato e generoso (si è persino dimesso da senatore), ma non ha scaldato i cuori. Ha compiuto parecchi errori. Più che il candidato del Pd è apparso come il capo di una coalizione di centrosinistra, per aver strizzato troppo l’occhio a Vendola. Nel suo partito, i mugugni e le fronde non sono stati riassorbiti.
A seconda di chi vince, cosa cambia sul piano nazionale?
Le scosse al sistema politico nazionale saranno tanto maggiori quanto il risultato elettorale acuirà la crisi interna al Pd. E la crisi, indubbiamente, si acuirebbe sia nel caso in cui vincesse Alemanno, sia nel caso in cui Marchini o De Vito dovessero affermarsi e riuscire ad andare al ballottaggio (anche se, al secondo turno, la loro vittoria è altamente improbabile). A quel punto, il Partito democratico entrerebbe indubbiamente in fibrillazione.
Concretamente, cosa accadrebbe?
Buona parte del Pd non ha digerito la collaborazione con il centrodestra. Aumenterebbero le pressioni per il voto anticipato. Tutto dipenderà da come il gruppo dirigente riuscirà a gestire il rapporto con il suo elettorato. L’impresa potrebbe fallire se buona parte degli elettori del Pd dovessero votare a sinistra o astenersi.
E se vincerà Marino?
Per il Pd, si tratterà di un semplice “pannicello caldo”. Evitare la drammatizzazione non risolverà i problemi.
Come andrà a finire?
I pronostici che vedono un testa a testa tra Alemanno e Marino mi sembrano attendibili.
(Paolo Nessi)