Adesso che anche Francesco ha sdoganato il termine si potrà buttare dalla finestra ogni inglesismo e chiamare le donne non sposate con il loro nome. Zitelle. Molto meglio dell’incaglioso “single”. C’è da dire che tra “Dio spray”, “Chiesa babysitter” e “Confessionale lavanderia” Bergoglio sta impastando il magistero pontificio di immagini immediate ed efficaci che chiunque immerso nella comunicazione per slogan riconosce come rispondenti al vero.



La soddisfazione è massima se si considera che il termine, con il suo bagaglio negativo (donna che non ha marito, ma anche donna che nessun marito ha fatto lo sforzo di prendere, giovane-vecchia dal tratto bisbetico, arida e avvizzita femmina), è stato appioppato dal Pontefice a quelle suore che insieme alla veste hanno preso in carico anche l’acidità. Perché è inutile negarlo, ognuno di noi ne ha incontrata almeno una nella propria vita di relazioni, ecclesiali e non. Si valutano all’istante, tempo di individuazione circa 3 minuti. Ci sono consacrate felici, piene, dal cuore gravido, che guardi e t’inondano di tenerezza e altre che insieme alle rughe sul volto hanno quelle dell’anima, i solchi dei rimpianti e dei desideri mancati. Non tante, ma ci sono. Ebbene mentre il Papa affronta l’unica vera tensione da che ha imboccato il governo della Chiesa, quella tra la Congregazione per la Dottrina della fede e la LCWR, la Leadership Conference of Woman Religious, le scalmanate suore statunitensi, si vede arrivare in casa ben 800 superiori generali, provenienti da 76 paesi, da tre giorni in Assemblea Plenaria su un tema insidioso, “Servizio dell’Autorità secondo il Vangelo”. E Francesco senza paura le affronta a viso aperto, nell’aula Paolo VI, usando l’ironia ma anche l’autorevolezza che viene dal Vangelo.



Per intenderci sono le donne a capo delle congregazioni femminili, l’esercito di donne che sostiene la chiesa con il proprio servizio. Perché qualcuna sarà pure inacidita, ma qualche ragione ce l’hanno queste consacrate in gonnella e persino turbanti (le africane), ostinatamente donne in una Chiesa infiltrata da misogini. Basta vedere chi parla a loro nome, un uomo, il card. Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata. E accanto, come segretario del dicastero che si occupa della loro missione, un altro uomo, mons. Josè Rodrìguez Carballo, su cui il Papa scherza, forse avvertendo la paradossalità della situazione.



Eppure sono in gran parte formati da donne gli ingranaggi del sistema-chiesa, gli snodi essenziali e i terminali di una macchina fatta di opere, servizi, comunità, associazioni, ovviamente funzionante a Spirito Santo e preghiera. Insomma, se la baracca si regge oltre alla Grazia bisogna considerare anche la graziosità femminile, la capacità di sacrificio e dedizione, l’amore e la passione, la laboriosità e la fedeltà, la libertà e la generatività delle donne. Soprattutto delle consacrate. Papa Francesco sembra considerarlo. Certo misogino non è. Lo ha già dimostrato. Ma una sua idea di donna e del ruolo che deve avere sulla barca di Pietro ce l’ha.

Non sappiamo ancora se l’ipotesi tedesca delle diaconesse gli piaccia, non ha dato cenni, ma così a naso mi sa che la richiesta dei vescovi teutonici (sempre uomini) non lo sconfinfera. Guardiamo cosa ha detto alle Superiori generali: 1. La vocazione è sempre un’iniziativa di Dio (e quindi quelle chiamate devono seguirlo centrando la propria esistenza su Cristo e il Vangelo) 2. Adorare, servire, obbedire. Queste gli atteggiamenti di chi si deve “spogliare” per esercitare la propria autorità (stoccatina alle americane sempre in modalità “rivendicazione”, refrattarie all’obbedienza intesa come “ascolto della volontà di Dio attraverso la mediazione umana”) 3. Povertà reale, non teorica (quella che s’impara con gli umili, i poveri, gli ammalti e coloro che abitano le periferie esistenziali della vita) 4. La consacrata è madre e non zitella! (vale a dire che la castità è una condizione che allarga la libertà, non la costringe, e implica una fecondità). 5. Autorità è sempre sinonimo di servizio, di umiltà e di amore (insomma a quelle donne che nella Chiesa invidiano agli uomini il potere, Francesco dice siete fuori strada, carrierismo e ambizioni sono un male per tutti). Fine del discorso con appendice finale “la donna è madre”.

Si mettano l’animo in pace le femministe cristiane, le suore in rivolta, le paladine del sacerdozio rosa e le Power Girls, Papa Bergoglio, sarà per età o saggezza popolare, sa che senza donne non si va da nessuna parte, ma anche che la specificità di genere è proprio nell’accoglienza, nella fecondità, nella capacità generativa. Le donne sono madri. Anche se non hanno voluto o trovato marito, anche se hanno sposato Cristo e non hanno mai messo al mondo un figlio. Sono amore e bellezza. Tenerezza e misericordia. Abbracci e lacrime. Gioia e Croce. E da “zitella” sottoscrivo.

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