Chissà se il ragazzo che ha tentato il suicidio l’altro giorno, a Roma, è contento di essersi salvato. Di quella provvidenziale minicar parcheggiata sotto la finestra del terzo piano della sua scuola, istituto nautico, che ha attutito il colpo, trasformando il suo volo mortale in una brutta caduta, frattura delle caviglie, qualche giorno d’ospedale e poi a casa. Folle volo, perché un ragazzo di 16 anni può odiare la vita a tal punto da volerla spegnere? O è stato spinto a quel gesto dalla solitudine, dall’esclusione di compagni insensibili e cattivi?
Questa la spiegazione più semplice, immeditamente suscitatrice di polemiche e discussioni: pare che il ragazzino fosse omosessuale, e non ne potesse più delle prese in giro, delle incomprensioni dei suoi presunti amici. Si sa, i ragazzi sanno essere feroci, magari per celia, più che per far male. Ma le motivazioni dell’atto estremo, postate su facebook alla madre, così, come per dire “esco, torno un po’ tardi”, hanno scatenato il solito dibattito sull’omofobia.
Per carità, doveroso che ogni forma di esclusione, di razzismo, di qualsivoglia origine, venga commendata, punita, sradicata, soprattutto tra i giovani. E che serva un paziente lavoro di educazione, più che l’indignazione, o la spinta per leggi speciali che di fatto relegano le diversità a specie protette, discriminandole di più, a mio avviso. Vale per gli omosessuali, vale per le donne: l’omicidio di una donna è un assassinio o un femminicidio? Le vessazioni ad un omosessuale sono un crimine contro la persona, o verso una persona speciale? Accetto solo pene aggiuntive per i bambini, ma in quanto persone deboli, come può esserlo un anziano inerme o un disabile, un ammalato. Non pare che i gay si ritengano tali.
Nauralmente, sulla vicenda di Mirko, chiamiamolo così, con un nome vagamente slavo, visto che era rumeno di origine, sono fioccate gli interventi delle istituzioni, dei soliti politici, i giornali si sono esercitati a scovare subito spiegazioni esaustive di psicologi sociologi di grido. Normale, i fatti si commentano, riempiono le pagine, di carta o digitali. Forse occorreva con un po’ di prudenza aspettare solo 24 ore. Si sarebbe notato anzitutto, dalle dichiarazioni del direttore sanitario dell’ospedale che lo ha in cura, che il sedicenne non è affatto morto, per somma fortuna, anche se tutti si sono affrettati a piangerlo. Che oltretutto i suoi compagni sostengono che non sapevano fosse omosessuale, anzi, pensavano fosse innamorato della solita ragazzina che non ti guarda neanche. Anzi, loro e i professori si sono precipitati a dire che era sensibile, che aveva problemi familiari, che nessuno si è mai accorto di vessazioni particolari in quella scuola.
Chissà se hanno ragione. Quel che è certo è che Mirko fa sapere che non vede l’ora di tornare a scuola. Carissimo Mirko, eri più turbato per il disprezzo di chi ti riteneva gay o per tutte le volte che ti hanno detto rumeno, con rabbia? Perché capita spesso. Per le volte che ti hanno detto che tuo padre era certamente un ladro, e che potevi tornartene nel tuo paese? Perché capita. Un dolore e una pena, ma c’entra davvero con le discriminazioni sessuali? Con l’omofobia, con i matrimoni gay appena approvati in Francia perché va sempre bene sottolineare che loro sono più avanti di noi. Non c’entra neppure con la campagna elettorale per il sindaco della tua città, a colpi di sicurezza percepita o reale, a colpi di fatti di cronaca utilizzati a comodo.
Chissà, se proprio dobbiamo fare della sociologia spicciola, se c’entra la tua famiglia spezzata, un padre violento che non vedevi da tempo, perché se n’era andato. Una mamma a cui dovevi parlare provocatoriamente via facebook. L’abbiamo letto grazie a chi la cronaca l’ha fatta davvero, il giorno dopo. Chissà. Perché poi, senza banalizzare o sminuire il tuo gesto, quel che tu hai nel cuore, lo sai tu solo. Se era voglia di essere compreso, abbracciato. Se era voglia anche di esprimere un disagio profondo, come un’onta che ti portavi addosso.
Comunque sia, il tuo volo è un grido, e va ascoltato. Dai medici anzitutto, non solo dagli ortopedici che ti curano le caviglie, perché tu possa giocare presto a pallone. Forse ci vorranno altri medici, e amici veri, che ti aiutino a giocare col sorriso, fregandotene delle etichette, degli sguardi, massì, perfino di qualche parola grossa o cattiva. Che ti aiutino a capire che le condizioni della vita non sono mai un ostacolo alla felicità. Che ti aiutino a ritrovare te stesso, in una casa. Possibilmente la tua, magari con qualche sostegno.
L’eco che hai suscitato era quella che volevi? Digli soltanto di smetterla di usarti, di aspettare, ad agitare spettri a classificarti, a fare di te una bandiera. Vuoi il diploma dell’istituto nautico. Pensa come sarà bello, in una divisa bianca, guardare l’orizzonte lontano, respirare il profumo del mare, pensare a chi ti vuol bene, e ti aspetta al ritorno. Una compagnia piccola da cui non esser mai abbandonato. C’è, sta sicuro, e se ne frega di come appari. Pensa che bello, uscire da quell’ospedale e andarla a cercare.